All'estero trionfo del Made in Italy nelle tavole, ultime notizie Roma - Nell’anno in cui lo spread è schizzato alle stelle a causa del mancato acquisto dei titoli di stato italiani da parte degli investitori esteri per il Made in Italy sulle tavole mondiali  invece è stato raggiunto nel 2011 il massico storico di circa 30 miliardi nel valore delle esportazioni, per effetto di una crescita del 9 per cento. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base degli andamenti registrati nel commercio estero agroalimentare dall’Istat nei primi nove mesi del 2011.

“Le performance positive registrate sui mercati internazionali dal settore piu’ rappresentativo dell’economia reale dimostra che il Paese puo’ tornare a crescere solo se investe nelle proprie risorse che sono i territori, l’identità, la cultura e il cibo” ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che “l’agroalimentare è una leva competitiva formidabile per trainare il Made in Italy nel mondo”.

Il risultato del 2011 è il frutto di esportazioni agroalimentari effettuate per la grande maggioranza nei paesi dell’Unione Europea dove si realizza 2/3 del fatturato estero complessivo con un crescita in valore dell’8 per cento, ma anche dell'aumento negli Stati Uniti (+10 per cento) e nei mercati emergenti come quelli asiatici dove si è avuto l’incremento maggiore con un + 18 per cento e si sono avvicinati in valore agli Usa.

A crescere all’estero sono stati i settori piu’ tradizionali del Made in Italy come il vino che ha messo a segno un aumento record in valore del 25 per cento, il formaggi a partire da grana e dal parmigiano reggiano che sono i piu’ esportati con una crescita del 26 per cento ma anche  l’olio di oliva (+9 per cento), la pasta (+7 per cento) mentre rimane pressochè stabile l’ortofrutta.

Non mancano risultati sorprendenti come ad esempio la crescita boom del 18 per cento nell’export della birra Italiana in Gran Bretagna, grande paese produttore di questa bevanda o la crescita record dello spumante in Russia che con un +40 per cento si classifica addirittura al quarto posto tra i paesi esteri di destinazione ma anche l’incremento del 22 per cento nelle esportazioni di formaggi italiani in Francia che è tradizionalmente molto nazionalista in questo campo.

L'andamento sui mercati internazionali potrebbe ulteriormente migliorare da una piu’ efficace tutela nei confronti della “agropirateria” internazionale che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all'Italia per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale: All'estero il falso Made il Italy a tavola fattura 60 miliardi di euro e sono falsi tre prodotti alimentari di tipo italiano su quattro. Le denominazioni Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono le piu’ copiate nel mondo con il Parmesan diffuso in tutti i continenti, dagli Stati Uniti al Canada, dall'Australia fino al Giappone, ma in vendita c'è anche il Parmesao in Brasile, il Regianito in Argentina, Reggiano e Parmesao in tutto il Sud America, ma anche Pamesello in Belgio o Parmezan in Romania.

Per non parlare del Romano, dell'Asiago e del Gorgonzola prodotti negli Stati Uniti dove si trovano anche il Chianti californiano e inquietanti imitazioni di soppressata calabrese, asiago e pomodori San Marzano “spacciate” come italiane. E in alcuni casi sono i marchi storici ad essere “taroccati” come nel caso della mortadella San Daniele e del prosciutto San Daniele prodotti in Canada. Un fenomeno che frena la diffusione del Made in Italy e che è causa di danni economici, ma anche di immagine. Il rischio reale è che si radichi nelle tavole internazionali un falso Made in Italy che toglie spazio di mercato a quello autentico e banalizza le specialità nostrane frutto di tecniche, tradizioni e territori unici e inimitabili. I risultati positivi delle esportazioni alimentari peraltro non si sono ancora adeguatamente trasferiti alle imprese agricole dove si registrano ancora in molti settori quotazioni al di sotto dei costi di produzione, a conferma delle pesanti distorsioni che permangono nel passaggio degli alimenti lungo la filiera dal campo alla tavola.

Fonte: Coldiretti

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