Il traffico illecito dei rifiuti e l'incendio boschivo doloso sono due delitti devastanti che ogni anno concorrono a danneggiare gravemente il territorio italiano mettendo a rischio l’incolumità delle persone.

Il Ddl Alfano attualmente in discussione alla Camera, rischia di azzerare il lavoro svolto dalla magistratura e delle forze dell’ordine, escludendo questi due delitti dalla lista dei reati per i quali è concesso l’uso delle intercettazioni.

E’ una scelta profondamente sbagliata, anche per la pericolosità delle organizzazioni criminali che si dedicano a queste attività illecite, clan delle mafie in testa.

Chi si cimenta nel business del traffico e dello smaltimento illegale dei rifiuti avvelena l’aria, contamina le falde acquifere, inquina i fiumi e le coltivazioni agricole, minaccia la salute dei cittadini, contaminando con metalli pesanti, diossine e altre sostanze cancerogene prodotti che arrivano sulla tavola delle famiglie. Chi dà fuoco boschi è colpevole di un delitto premeditato dalle conseguenze devastanti: basta lo scellerato gesto di un incendiario per bruciare ettari ed ettari di ecosistema, devastare aree di straordinario interesse naturalistico, mettere in ginocchio l’industria del turismo, costringere la gente ad abbandonare le proprie case minacciate dalla fiamme e, come ci ricordano i drammatici eventi dello scorso anno, uccidere.

 

Un emendamento al Ddl Alfano per consentire le intercettazioni su questi delitti è stato presentato oggi nel corso della conferenza stampa organizzata da Legambiente a Roma, che ha visto la partecipazione del responsabile Osservatorio ambiente e legalità dell’associazione Enrico Fontana e dei due parlamentari firmatari dell’emendamento Ermete Realacci, Ministro dell’Ambiente del Governo Ombra del Pd e Fabio Granata, Capogruppo Pdl in commissione Cultura della Camera dei Deputati.

 

La recente introduzione di sanzioni finalmente adeguate alla gravità di questi fenomeni – ha dichiarato Enrico Fontanaha permesso di raggiungere risultati che sono sotto gli occhi di tutti: grazie alla possibilità di svolgere indagini davvero penetranti sono stati individuati i  responsabili di veri e propri disastri ambientali, si è fatta luce sui metodi di smaltimento illecito e sono state individuate collusioni nella pubblica amministrazione e connessioni con i clan. Anche la lotta ai piromani ha conosciuto risultati significativi, resi possibili grazie agli strumenti d’indagine di cui possono avvalersi forze dell’ordine e magistratura. Sarebbe davvero grave se ora, invece di inserire tutti i delitti contro l’ambiente nel Codice penale, come richiesto anche dall’Unione europea, Governo e Parlamento decidessero di azzerare di fatto l’efficacia delle sanzioni contro gli eco criminali”.

 

109 inchieste per 679 arresti e 2.277 persone denunciate tra imprenditori, autotrasportatori, funzionari pubblici e tecnici corrotti, intermediari nella gestione dei rifiuti; diverse organizzazioni criminali che trafficavano in 19 regioni, cioè in tutta Italia fatta eccezione per la Valle d’Aosta. Questo il risultato delle operazioni condotte dal 2002 e andate a buon fine anche e soprattutto grazie allo strumento delle intercettazioni telefoniche e ambientali che le Procure hanno potuto utilizzare nel loro lavoro.

Parliamo di un fenomeno che alimenta il redditizio giro d’affari delle mafie (stimabile, solo per il ciclo dei rifiuti in 5,3 miliardi di euro), perché accanto ai business tradizionali, come quelli della droga e degli appalti, le cosche criminali, con la camorra in primo fila, hanno scoperto sin dagli anni ’90 che con la monnezza si possono fare un sacco di soldi. Una realtà che non conosce confini, diffusa in tutto il paese, che arriva a spedire carichi di sostanze pericolose in Cina, in India e in Africa. Una intricata rete criminale che conta su pratiche collaudate di corruzione, frode, evasione fiscale, in cui imprenditori e amministratori pubblici, non sempre inconsapevoli, affidano i rifiuti a pseudo professionisti dediti alla truffa dello smaltimento illecito. Una pratica spregiudicata, che annienta l’economia pulita, quasi sempre condotta attraverso la falsificazione dei documenti di accompagnamento, il così detto giro bolla, che trasforma rifiuti speciali, spesso nocivi, in rifiuti, per così dire, innocui.

 

“Non si può pensare di voler risolvere l’emergenza Campania da una parte e dall’altra aprire varchi all’azione delle ecomafie e indebolire l’azione di contrasto delle forze dell’Ordine – ha affermato l’on Ermete Realacci -. Il limite di 10 anni per le  intercettazioni telefoniche è di fatto un regalo per Gomorra e per i traffici illeciti di rifiuti ed è veleno per quei territori e per l’Italia”.

"E' necessario non far venir meno strumenti indispensabili per il contrasto di reati gravissimi e per la repressione di uno dei fronti più avanzati delle politiche criminali ed economiche delle mafie", ha aggiunto l’on Fabio Granata.

 

Nel 2005 i dati diffusi dall’Apat denunciavano la scomparsa nel nostro Paese di 19,7 milioni di tonnellate di rifiuti, l’equivalente di una montagna di tre ettari di base e alta 2mila metri. Un dato impressionante, ma in calo rispetto all’anno precedente, a testimonianza degli ottimi risultati raggiunti dalle forze dell’ordine nelle tante operazioni dai nomi singolari: Greenland e Banda Bassotti, Longa Manus e Star Wars, ma anche Toxic e Dolcefango. Tutte inchieste portate al termine con successo negli ultimi anni che hanno permesso di scoprire e smantellare le attività di cosche criminali impegnate a smaltire illegalmente enormi quantitativi di rifiuti pericolosi, che hanno inquinato falde acquifere, terreni agricoli, quartieri abitati e parchi naturali, senza dimenticare quegli enormi quantitativi di rifiuti che sottoforma di materie prime pregiate e altri materiali hanno raggiunto le coste e l’entroterra di paesi asiatici o africani.

 

Numeri impressionanti anche per quel che riguarda gli incendi boschivi: sono stati 10mila i roghi che nel corso del 2007 hanno mandato in fumo oltre 225mila ettari di vegetazione e causato la morte di 18 persone. Ma i roghi non divampano mai per caso, se un bosco va in fiamme è quasi sempre perché qualcuno lo ha acceso. E la lista dei moventi è ricca: si va dagli interessi legati alla pastorizia, alle vendette tra famiglie criminali, alle mire degli speculatori edilizi, ai motivi occupazionali degli operai forestali stagionali, agli interessi della mafia. Anche questo crimine, come quello del racket dei rifiuti, rischia di essere derubricato con il ddl Alfano sulle intercettazioni, non rientrando di fatto nelle fattispecie di reato previste. E, considerando la velocità con cui un incendiario può accendere le micce e fuggire facendo perdere le proprie tracce, l’impossibilità di avvalersi delle intercettazioni renderebbe ancora più arduo perseguire con successo questo tipo di reati.

 

M. Lozzi

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