RONCIGLIONE ( VITERBO ) - UnoNotizie.it - Accademia Kronos, dando fondo a tutti i suoi risparmi, ha evitato la chiusura di un importante cantiere archeologico in Sudan curato per oltre 30 anni dall’Università di Torino. Ora terminati i fondi universitari e quelli dello Stato, anche questa campagna scavi correva il rischio di essere abbandonata. L’importanza di questo cantiere è tale, per la conoscenza della storia dell’uomo, che noi non potevamo rimanere insensibili. E così è nata la la nostra decisione di salvarlo. La scheda che segue, del prof. Roccati, offre un quadro dettagliato del sito su cui a febbraio i nostri soci, insieme agli archeologi di Torino, inizieranno a lavorare. Su una nostra newsletter di ottobre 08 chiedemmo ai nostri lettori chi fosse interessato a partecipare a questa avventura. 48 sono state le adesioni pervenute, di queste ne abbiamo accolte 2, in particolare quelle che dimostravano competenza ed esperienza di lavoro e di vita in ambienti disagiati, in estate la temperatura all’ombra è di 50 gradi. Una è, come abbiamo già scritto nel precedente notiziario, l’arch. Giuseppe Caputi, socio di AK da oltre 10 anni e competente di cantieri nei PVS e l’altra la dott.ssa Boccara, Rosa Aryèle membro dell’associazione medici senza frontiere ed esperta di malattie tropicali. A questi due nostri coraggiosi archeologhi auguriamo BUONA FORTUNA!  

DESCRIZIONE Il sito archeologico del Gebel Barkal si trova nel Sudan settentrionale, presso la moderna città di Karima, a circa 400 km in linea d’aria dalla capitale Khartoum. La zona è di una straordinaria suggestione paesaggistica e il luogo fu abitato da epoche antichissime. Gli egiziani lo conquistarono intorno al 1500 a.C. e supposero che qui fosse l’origine del fiume Nilo e della loro regalità sacra in Egitto. L’area è dominata da un rilievo caratteristico, che si erge per una sessantina di metri sulla piana sottostante a circa 1 km dal Nilo. Verso sud si stacca un pinnacolo scosceso che fu assimilato al cobra simbolo della regalità. Alle pendici del monte si sviluppò quindi un sistema di templi e di palazziche rimase attivo fino all’arrivo del cristianesimo, nel VII secolo. I primi viaggiatori a darne notizia vi giunsero al principio del sec. XIX, verso il 1845 la spedizione prussiana (scientifica) di Richard Lepsius fece un rilievo sistematico dei monumenti visibili, e prelevò per i musei di Berlino alcuni oggetti significativi (statue e altari). I primi scavi, condotti da missioni britanniche dopo il 1880, portarono alla scoperta di monumenti che furono trasferiti nel Museo Egizio del Cairo e nel Museo Britannico a Londra. Durante la prima guerra mondiale vi lavorò a lungo George Reisner per conto del Museum of Fine Arts di Boston e dell’Università di Harvard, portando a Boston numerose antichità. A quel tempo nelle adiacenze era stabilito il governatorato britannico, a Marawi, sulla sponda opposta del Nilo, facilitando le ricerche. Dopo l’indipendenza del Sudan, a seguito dell’impegno per salvare le antichità della Nubia che sarebbero state sommerse dal grande lago provocato dalla costruzione della Diga Alta di Aswan, l’Italia ha ricevuto il privilegio di condurre ricerche archeologiche, scegliendo questo sito. Dal 1970 al 2005 l’Università di Roma « La Sapienza » ha potuto compiere campagne annuali di scavo. Nel 2005 la cattedra di Egittologia è stata trasferita dall’Università di Roma all’Università di Torino, e lo scrivente, in qualità di titolare, si sforza di non interrompere una grande impresa italiana.

L’INTERESSE ARCHEOLOGICO Già nel 1999 è stata allestita a Torino, presso la Promotrice di Belle Arti al Valentino, una grande mostra (circa 500 pezzi) che illustrò per la prima volta in Italia il patrimonio archeologico dell’antica Nubia detenuto dall’attuale Sudan. Successivamente, nel 2002, ancora a cura dello scrivente, è stato tenuto a Roma, e per la prima volta in Italia, il Decimo Congresso Internazionale della Società di Studi Nubiani, di cui è disponibile il ponderoso volume di Atti, edito dall’Istituto Poligrafico dello Stato nel 2006. L’importanza di queste iniziative ha una duplice ragione. Da un lato le ricerche archeologiche condotte da un secolo e mezzo hanno messo in luce la ricchezza culturale di questo territorio, il cui potenziale archeologico è appena stato intaccato, anche a causa dell’arretratezza del Sudan (mancanza di strade e di comunicazioni), che peraltro ha permesso una migliore conservazione dei terreni archeologici. D’altronde nell’ultimo mezzo secolo è maturata la coscienza dell’importanza dei popoli africani nello sviluppo della civiltà, modificando radicalmente la prospettiva razzista che aveva in precedenza condizionato questi studi. Il deciframento in corso della lingua e scrittura meroitica (una fase della storia della Nubia corrispondente approssimativamente all’impero romano) può solo aumentare l’interesse delle ricerche. Si aggiunge infine il valore politico di queste attività che restituiscono al Sudan una base di identità nazionale, non più considerata esclusivamente alla luce della religione islamica. Recentemente anche il Sudan è entrato in una fase di intenso sviluppo, con costruzione di dighe, ponti e strade, che, se rendono più facile l’accesso ai luoghi, portano una minaccia sempre più pressante per la salvaguardia delle antichità. Nel 2007 l’UNESCO ha classificato l’area del Gebel Barkal tra i siti protetti come patrimonio dell’umanità.

STORIA ED ESPLORAZIONE Attualmente la documentazione archeologica prodotta dal Gebel Barkal si estende sutre periodi : 1) l’occupazione egiziana del sito tra il 1500 e il 1100 a.C. ha lasciato resti di diversi santuarii eretti in pietra, tra cui il tempio di Amon spicca per imponenza. La città di Napata divenne capitale della Nubia, ed è ricordata anche nell’Aida di Verdi. 2) Durante l’VIII secolo a.C. Napata divenne centro di un impero che includeva il possesso dell’Egitto fino a Menfi, e stabilì alcune necropoli monumentali nelle adiacenze, contraddistinte dalla ripresa della forma a piramide per le tombe regali. 3) In un periodo corrispondente alle monarchie ellenistiche, la capitale fu trasportata a Meroe, dall’altra parte del deserto di Bayuda, presso il Nilo, ma Napata rimase una delle città principali del regno, in cui si ripeteva la cerimonia dell’incoronazione del re. La Missione archeologica italiana si è trovata ad operare in diversi settori dell’area archeologica che risalgono all’ultima fase, mettendo in luce soprattutto edifici pertinenti al grande regno di Natakamani, coevo al dominio della dinastia flavia a Roma (fine I sec.d.C.). Tutta la zona è stata profondamente saccheggiata e successivamente ricoperta dal fango di inondazioni sovrabbondanti e dalla sabbia portata dalle tempeste di vento. Ciò complica le ricerche, le rallenta ed esige la presenza di personale dotato di alta competenza. Nondimeno gli scavi hanno potuto riconoscere finora due templi, un palazzo di enormi proporzioni (su una piattaforma quadrata di 63 m di lato), un altro palazzo che, inaspettatamente, ha rivelato una architettura in puro stile greco, un edificio di carattere termale e rituale. Il lavoro da compiere è immenso. Tuttavia, dal 1970, la Missione italiana è stata l’unica ad assicurare una presenza annuale regolare, seppure di durata limitata, fino al presente. Le difficili condizioni climatiche (calore torrido da aprile e piogge in estate), l’isolamento (attenuato in anni recenti dalla possibilità di telefonare e da un miglioramento dei trasporti), i tempi richiesti dagli spostamenti, l’elementarità delle risorse, infine la scarsità di finanziamenti, hanno imposto soggiorni di breve durata, da un minimo di tre settimane ad un massimo di cinque o sei, concentrate soprattutto attorno al mese di febbraio.

RISORSE UMANE ED ECONOMICHE Per motivi logistici la Missione deve includere un numero minimo di componenti (oltre al direttore, un architetto e disegnatore, fotografo, archeologo, eventuale restauratore e ceramologo), dotati della migliore competenza per assicurare la qualità dei risultati. Secondo le possibilità il personale è integrato da un paio di giovani specializzandi, come aiuti e per permettere la formazione di nuovi esperti. In altre parole si tratta di una ricerca scientifica che funge anche da cantiere scuola. Il numero dei partecipanti è determinato dalla disponibilità dei trasporti, dalla ricettività della residenza (una abitazione in affitto) oltre che dalle risorse economiche. Il bilancio della Missione si avvale da oltre un decennio del cofinanziamento derivante da un contributo del Ministero degli Affari Esteri italiano in aggiunta a sovvenzioni di altra origine (universitaria o privata). Il costo medio reale di una singola Missione si ripartisce tra 15000 e 20000 euro, tenendo conto che la partecipazione di tutti i membri è esclusivamente a titolo di volontariato, dietro totale copertura delle spese (che sul posto non sono rilevanti). Tuttavia la progressiva riduzione dei fondi accordati, oltre ad incidere sulla durata del soggiorno e sul numero dei partecipanti, è giunta al punto critico di imporre la chiusura della Missione. Tale è la prospettiva per il 2009 : gli ultimi risultati sono stati esposti nel Congresso meroitico tenuto a Vienna nel settembre scorso, e, se non interverranno a breve segnali di interesse per questa attività (aiuti privati intorno ai 10000 euro), l’Italia perderà una concessione di scavo che l’ha allineata per oltre un quarto di secolo ai Paesi europei più progrediti.   

Alessandro Roccati (Ordinario di Egittologia Università di Torino)

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