L'AQUILA (UnoNotizie.it)

“Ero a casa sveglio, all’improvviso un rumore enorme, come un treno in frenata, un enorme treno in frenata, poi l’esplosione…”.
E’ tarda notte ormai, queste sono le parole di uno studente universitario che vive nel Parco Unicef a L’Aquila dove ha sede il Comitato 3e32.
Sono al seguito di una variopinta carovana partita da Viterbo per consegnare ai responsabili del comitato il risultato dell’iniziativa “La Musica non Crolla”.
L’associazione Tuscia in Progress ha coinvolto tanti sponsor, ha stampato magliette messe in vendita in tutta la Provincia, l’Officina Belushi ha portato l’impianto audio e il tecnico del suono, la Costa Volpara voce e strumenti per il concerto. Siamo partiti alle undici di stamattina, ventuno in tutto.
Non avevo idea, veramente nessuna idea di cosa aspettarmi. Mia moglie mi dice “vai e vedi”.

Sì, la Televisione, i servizi in diretta, articoli su quotidiani e settimanali. Emergenza Terremoto.
Il Terremoto: mi ricordo Tuscania, il Friuli, Napoli e l’Irpinia come parentesi buie, e poi l’Umbria, toccato con mano.
Mai stato a L’Aquila. Fino ad oggi.
Sono stanco, il concerto è finito da un po’, ma parliamo ancora con due studenti universitari che raccontano. Ascolto, oggi ho soprattutto ascoltato, ho fatto poche domande.
Di questo ha bisogno chi è rimasto: di ascolto.
Sono rimasti in 20.000 in città, fra tendopoli e poco altro: l’Aquila censiva 100.000 abitanti.
Dove sono tutti?
E’ il silenzio che ti colpisce.
Intere strade senza nessuno, case chiuse, uffici chiusi, negozi chiusi, e poi i segni della devastazione di quel treno di dolore che ha massacrato la città. Sembrano esplose le case, vedi l’interno di appartamenti al secondo piano, aperti verso la strada, con ancora quadri appesi, letti e materassi in vista. Istantanee di vita normale, fino a ieri, fino alle 3e32 del 6 Aprile,  ma dov’è la vita adesso?

I Vigili del Fuoco presidiano ogni accesso alla Zona Rossa, appena dopo gli Alpini ti fermeranno se vuoi entrare senza permesso.
L’accoglienza del Comitato è calorosa e semplice, tramezzini acqua e birra, siamo arrivati alle tre del pomeriggio, fa veramente caldo. Appoggiato su una collina sotto il Centro storico, il Parco Unicef è divenuto un centro di aggregazione, spontaneo, politicamente trasversale, attivo.
Ci sono volontari venuti da Roma, Pescara,  da altre città, “Forti e Gentili Sì, Fessi No”, c’è una cucina da campo per preparare pasti caldi, un bancone da bar regalato, lucido e infuocato sotto il sole del pomeriggio, con la birra alla spina fredda, sul pratino tende da campeggio ordinate, “Yes We Camp”, una piccola casa di legno con postazioni internet.
C’è un piccolo anfiteatro, dove l’altro ieri sera ha suonato Ludovico Einaudi.
I servizi igienici sono le cabine grigie della Sebach, una sola doccia per tutti.

Mentre sotto il tendone montano l’attrezzatura per il concerto andiamo a parlare con i Vigili del Fuoco, per cercare di farci portare dentro la città. Gentilissimi ma irremovibili, dopo una serie di telefonate ci mandano a Coppito per ottenere l’autorizzazione stampa.
Caserma enorme e vuota, anche qui silenzio e assenza, i segni del G8 che sfumano, bandiere di ogni nazione tese al vento di un sabato qualunque di luglio.
Perché le caserme hanno sempre distanze così lunghe e sempre da percorrere a piedi? Memorie del servizio militare. Dopo 2 km a piedi al terzo tentativo riesco a parlare con la responsabile della Protezione Civile che si occupa della Stampa, ma niente da fare non è possibile. Torniamo al parco.
Ho sempre la macchina fotografica in mano, lungo il ritorno scatto, ci fermiamo, altre foto, altri Vigili del Fuoco, ”... questo è niente, dovreste vedere dentro”.
La prossima volta, sicuro, ormai so cosa devo fare.
E’ quasi sera ma andiamo di nuovo in gruppo verso il Centro de L’Aquila, fin dove si può. Passiamo davanti a un’altra tendopoli, poi verso la Villa Comunale, a piedi verso Piazza del Duomo.

Foto di particolari, l’enorme piazza transennata, poi un gruppo con il casco giallo e le magliette grigie del “Consiglio Nazionale degli Ingegneri”.
Mi avvicino. Una domanda, una risposta “non capisco perché non intervenire immediatamente su queste lesioni strutturali, basterebbero venti giorni per rimediare…”.
Giro lungo prima di tornare, siamo in otto sul pulmino, periferia, ancora i segni della devastazione, scatto ancora.
Poi basta, basta. Non è in queste immagini che mi riporto a casa la verità di ciò che si respira.
 “…quanto stiamo spendendo per tenere la gente negli alberghi sulla costa? E in che condizioni?”

“…perché ci sono solo due cantieri che veramente funzionano, e gli altri? Ne abbiamo più che Dubai!”, “Ma dell’aeroporto per il G8 ne avevamo bisogno?”, “In questa strada siamo solo due famiglie, mia moglie ed io, e un’altra coppia a 100mt da qui, tutti senza gas, ma non andiamo via”, ”Il rischio è la desertificazione della Città, costruire a 5 o 10 km dal Centro senza riuscire a far tornare la gente, che ha paura, ma non sa neanche cosa fare veramente. E le leggende che circolano nelle tendopoli.”, “…era una Città ripartita, tra il terziario e l’Università, adesso non ci sono più attività produttive di nessun tipo, e dal 2009 ci chiedono di pagare tasse e arretrati, come facciamo?”. “Ma tutte le case sfitte e agibili fuori la Zona Rossa perché non darle a chi ne ha bisogno a un affitto calmierato?”, “Io studio a Firenze, e quando sento i miei, gli dico che non mi sembra che le cose vadano così male, a vedere e sentire, ma mi rispondono torna e guarda, poi ne parliamo…”.

L’ora del concerto si avvicina, arriva tanta gente, anche noi ci siamo ripuliti e fatto l’esperienza della doccia gelata come a un campo base himalayano, fortuna che è estate, “…ma appena inizia a piovere, sulle montagne nevica subito, e qui la temperatura scende di colpo anche di quindici gradi…”. Chi rimane del nostro gruppo per la notte ha montato le tende. Ultimi dettagli di soundcheck. In fondo al campo c’è una troupe che intervista i ragazzi, sono quattro donne, riconosco una voce, è Sabina Guzzanti che incalza con domande che stimolano risposte. Ancora testimonianze, punti di vista differenti, la realtà della situazione di tutti, il sentire individuale. Il campo si è riempito. Finalmente parte la musica.

Suonano i Kurnalcool che fanno un rock robusto, bravi e molto autoironici, poi è il turno della Costa Volpara. I ragazzi sono veramente in forma, affiatati. Folk rock rende bene l’idea, pian piano la gente si avvicina sempre di più, e inizia a ondeggiare al ritmo irresistibile. Fra brani originali, che cantiamo noi del seguito, e cover che cantano un po’ tutti l’atmosfera si scalda, c’è vero divertimento. Poi non è più concerto, è una festa di piazza, si balla, tanti sorrisi, occhi contenti. Quasi due ore poi l’ultimo colpo di cassa. Il gruppo è contento e si godono i complimenti di tutti. Bravi, energici, coinvolgenti come sempre. Ma da quanto ci conosciamo ? Ed è con sorpresa che scopriamo che sono quasi dieci anni. Si smonta tutto, ormai sono le due e mezzo, sì torno con voi, aspettatemi prendo le mie cose. Ho portato il sacco a pelo, ma approfitto di una macchina che rientra. A Viterbo albeggia mentre ci salutiamo, casa, letto, mi sento fortunato. Domani la doccia la farò fredda per non dimenticare troppo in fretta. Poi scrivo.
“ Ero a casa sveglio, all’improvviso un rumore enorme, come un treno in frenata, un enorme treno in frenata, poi l’esplosione…”.


Guido Landucci

- Uno Notizie L'Aquila Viterbo -

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