GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA / 08 marzo - 17 marzo 2011: la memoria negata delle donne ''marocchinate''
. Ultime notizie - Roma -
Si celebra la giornata internazionale della donna e tra qualche giorno quella nazionale del 150° dell’Unità d’Italia. Riteniamo che la doppia ricorrenza rappresenti finalmente l’occasione di collocare nella memoria storica collettiva, la pagina riguardante il martirologio subito dalle 60.000 donne italiane durante gli eventi bellici dell’ultima guerra mondiale, nel particolare periodo che va dal maggio 1944 all’ottobre dello stesso anno.

Ricordiamo che fino al momento del dissolvimento del Regio Esercito Italiano avvenuto dalla notte dell’8 settembre 1943 a causa dell’Armistizio unilateralmente proclamato da Badoglio (ormai Capo del Governo dal 25 luglio quando cessò quello Fascista) senza un qualsiasi preavviso all’alleato tedesco, le truppe italo-germaniche si stavano ormai ritirando, combattendo insieme, tra la Calabria, la Puglia e la Campania, incalzate dall’esercito invasore degli Alleati. I tedeschi di conseguenza dovettero sostenere da soli il ripiegamento attestandosi alla fine di ottobre su una linea di difesa che da Pescara raggiungeva il Tirreno tra Scauri e Gaeta, avendo come perno la città di Cassino passaggio obbligato per poter raggiungere Roma attraverso la strada Statale Casilina.

Si crearono le tragiche condizioni di una guerra di posizione e di logoramento che costò soltanto agli Alleati quasi 55.000 caduti. Il loro esercito era costituito dall’VIII Armata del Generale inglese Alexander che aveva inoltre, il Comando Supremo di tutte le truppe e quindi anche della V Armata Americana comandata dal Generale Clark che incorporava il contingente di spedizione francese agli ordini del Generale Juin e di ufficiali e sottoufficiali francesi formato in prevalenza da soldati di origine marocchina.

Dopo gli inutili assalti per poter superare le difese tedesche per raggiungere Roma, fu affidato proprio alle truppe marocchine il compito di ottenere lo sfondamento del fronte sull’impervia linea montagnosa dei Monti Ausoni che rappresentavano il lato sinistro dello schieramento. Questi uomini, per molti mesi, per impedire che compissero violenze sessuali ai danni delle popolazioni civili, erano stati sottoposti al coprifuoco ed impediti ad uscire dai loro accampamenti recintati con filo spinato.

La mattina del 14 maggio del 1944 il Generale Juin con l’assenso dei comandi alleati inoltrò agli uomini di questo contingente il seguente proclama “soldati! questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto è promesso e mantengo. Per 50 ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete”.

Tale allucinante promessa venne accuratamente rispettata alla lettera. Nei giorni che seguirono la battaglia terminata il 17 maggio con la caduta della città di Esperia, i 7.000 marocchini sopravvissuti devastarono, rubarono, razziarono, uccisero, violentarono. Circa 3.000 donne di età compresa tra gli 8 e gli 85 anni, vennero brutalmente stuprate. Vennero sodomizzati circa 800 uomini e bambini; tra cui anche un prete, Don Alberto Terrilli, Parroco di Santa Maria di Esperia, il quale morì due giorni dopo a causa delle sevizie. Molti uomini che tentarono di proteggere le loro donne vennero barbaramente uccisi.

Alla luce delle ricerche riportate in una relazione degli anni ’50 si legge che “su circa 2.000 donne oltraggiate il 20% risultò infettata dalla sifilide; il 90 % da blenorragia; molti furono i figli nati dalle unioni forzose; il 40 % degli uomini risultò contagiato dalle mogli; l’81 % dei fabbricati distrutti; il 90% del bestiame sottratto; gioielli, abiti e denaro totalmente rubati”. Questo fu il risultato dell’immediatezza dell’impatto: di cui nessuna autorità tenne conto della scadenza delle fatidiche 50 ore!

Questa scia di orrori e di nefandezze accompagnarono l’avanzata delle truppe americane e attraversò il Lazio ciociaro, l’alto Lazio, il basso senese, il grossetano fino alla Lunigiana: per fortuna, poi il contingente Nord Africano fu ritirato e trasferito in Provenza.

I “liberatori” in quanto tali, con il suggello di essere diventati nostri belligeranti dopo la dichiarazione di guerra fatta dal Regno del Sud, rimasero al di sopra di ogni “chiacchiera” che ne offendesse la “epopea”. Il fuoco “amico” si abbatté su città e contrade, anche le più periferiche, su monumenti illustri ed inevitabilmente sulle popolazioni civili. Lo stesso Generale Alexander, Comandante in Capo delle truppe alleate, diede il suo benestare alla distruzione dell’Abbazia di Montecassino faro di civiltà benedettina del VII secolo, con l’inedito modello di raid aereo studiato nei laboratori degli orrori americani: fu il primo esperimento di bombardamento scientifico della storia e di certo non fu l’ultimo. Meno male che nell’ottobre del 1943 le truppe germaniche portarono in salvo a Castel Sant’Angelo tutte le opere ed i documenti di inestimabile valore trasportabili. Nella distruzione dell’Abbazia morirono circa 700 sfollati civili ivi ospitati.

Nell’immediato dopo guerra queste 60.000 donne lasciate a loro stesse, si posero alla ricerca di documenti e dichiarazioni per poter dimostrare la violazione subita e tentare di ottenere un riconoscimento giuridico del loro stato, sostenute da varie associazioni.

Si accese un plateale dibattito negli anni ’50 soprattutto da parte delle donne progressiste dell’UDI (Unione donne italiane) che arrivò fino al Parlamento per contrastare i silenzi e la rimozione ufficiale del problema. Non si riuscì comunque ad ottenere l’agganciamento ad una regolamentazione specifica attraverso una via burocratica preferenziale che avrebbe facilitato l’iter delle 60.000 pratiche. Questo lavoro fu affidato invece alla competenza delle Commissioni per le pensioni militari di guerra attraverso le quali ottenere il riconoscimento di invalide civili con relativo trattamento pensionistico.

Un intralcio beffardo considerando l’intasamento di quelle commissioni che nell’immediato periodo post bellico avevano centinaia di migliaia di casi riguardanti i militari da vagliare.

Consideriamo che la maggior parte di queste povere donne vivevano in gravi difficoltà logistiche e diciamolo pure, umane e sociali, provenendo da periferie rurali.

A questo clamoroso martirologio che attraversava ormai le cronache di tutti i giorni, oggetto anche del romanzo di Alberto Moravia “La Ciociara” (da cui fu tratto l’omonimo film che valse nel 1960 alla protagonista Sofia Loren un premio Oscar) si contrappose l’assordante silenzio degli ambienti ufficiali: i quali nei successivi decenni ignorarono la realtà storica delle 60.000 cittadine italiane “marocchinate”.

Su tali eventi è mancata a lungo una storiografia, non soltanto italiana, da addebitare alla reticenza nel fare emergere le responsabilità politiche e militari degli Alti Comandi Alleati e con la inevitabile conoscenza dei fatti anche da parte dei Comandi del Corpo Italiano di Liberazione attestatosi sul fronte di Cassino e del Governo Italiano del Sud.

Lo studioso belga Pier Moreau afferma “mai tali tragici avvenimenti sono stati menzionati dalla letteratura storica della seconda guerra mondiale tanto nei testi di lingua francese, olandese ed inglese”. D’altro canto nella sua “Storia delle donne nella seconda guerra mondiale” l’autrice progressista italiana Miriam Mafai, non fa un minimo riferimento agli episodi riguardanti le marocchinate italiane.

Nonostante siano passati oltre sessant’anni, solo qualche timida notizia storiografica è cominciata ad apparire: ma con scarsa obiettività; è proprio per tutto questo che ormai riteniamo maturato il tempo per una definitiva collocazione di queste pagine nella Storia Italiana.



Relazione dell’Onorevole Ferdinando Signorelli
“sugli avvenimenti riferenti agli episodi di violenza sulle donne italiane
nel corso della seconda Guerra Mondiale”.


Articolo a cura della  Dott.ssa Tiziana Romeo, Storica ed Archeologa Industriale

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