Nube radioattiva in Italia, tanta confusione e poche certezze. L'allarmismo può solo creare panico, così come la disinformazione può indurre a nozioni superficiali su quanto realmente sta accadendo in queste ultime ore.

Arriva o non arriva? Un po’ di chiarezza dall’Istituto di radioprotezione dell’Enea

di Paola Rinaldi


Nelle prossime ore, la nube radioattiva di Fukushima potrebbe raggiungere l’Italia. La notizia sta rimbalzando in tv e sui giornali, creando allarmismo per quelle quantità di ioduro radioattivo che - secondo alcune agenzie europee - dovrebbero raggiungere la Francia e poi estendersi verso sud. “Si tratta di affermazioni assolutamente teoriche e basate su simulazioni - tranquillizza Elena Fantuzzi, responsabile dell’Istituto di radioprotezione dell’Enea (www.enea.it) - Il presupposto perchè si avverino è che il rilascio di materiale radioattivo sia avvenuto ad almeno 2 mila metri di altezza, dove le correnti d’aria sono tali da permettere spostamenti su lunghe distanze”.

Tenendo conto che le correnti d’aria vanno sempre da ovest verso est, l’eventuale nube non utilizzerebbe la “via breve” attraverso la Russia per arrivare in Italia, ma passerebbe attraverso gli Stati Uniti compiendo un tragitto lungo circa 30 mila chilometri. “Nei fatti, il rilascio è avvenuto a circa 200 metri, sebbene le simulazioni ipotizzino che il calore possa aver fatto risalire le particelle ad altezze superiori - riprende Fantuzzi - In ogni caso, anche nel caso in cui questa nube raggiungesse effettivamente l’Italia, arriverebbe con una concentrazione di radioattività irrisoria e comunque verrebbe rilevata dalle reti nazionali di monitoraggio”. La radioattività sarebbe diecimila volte inferiore rispetto a quella di Chernobyl e, misurata in millibecquerel per metro cubo, dopo quattro giorni consecutivi di esposizione si avrebbero gli stessi effetti di un minuto all’aria aperta, dove la radioattività è naturalmente presente in piante, rocce e superficie terrestre. In definitiva, l’ipotesi della nube sull’Italia si basa su modelli ipotetici e l’allarmismo è del tutto ingiustificato. Ma se anche i modelli avessero ragione, non c’è nulla da temere.

I controlli sugli italiani di rientro. In attesa dei venti più o meno favorevoli, proseguono i controlli sugli italiani di ritorno dal Giappone, che vengono sottoposti agli esami per accertare un’eventuale contaminazione. L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) sta fornendo il suo supporto specialistico all’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze, che sta verificando i livelli di contaminazione radioattiva su numerosi cittadini italiani, tra cui i componenti del coro e dell’orchestra del Maggio Fiorentino che si trovava in tournée in Giappone.

Come si misurano le radiazioni. Per valutare l’impatto radiologico su un individuo viene presa in considerazione la “dose”, ovvero la quantità di radiazioni ricevute dall’esterno - cioè dalla “nube radioattiva” in cui ci si trova - e  dall’interno del corpo, dopo aver inalato aria o ingerito alimenti contaminati. Espressa in sievert o millisievert, la dose permette di calcolare il rischio a cui un individuo è esposto: le radiazioni interagiscono con la materia vivente trasferendo energia alle molecole delle strutture cellulari, danneggiando in maniera temporanea o permanente le funzioni delle cellule. La gravita del danno dipende dal tipo e dalla dose di radiazione, dalla via di esposizione (irraggiamento esterno, inalazione, ingestione) e dalla sensibilità del tessuto.

“Gli italiani di ritorno dal Giappone non sono più esposti al pericolo di irraggiamento esterno, ma possono ‘conservare’ nel loro corpo la radioattività che hanno inalato o ingerito - semplifica Fantuzzi - Per valutarla è possibile effettuare misurazioni su campioni biologici di urina oppure in vivo, disponendosi di fronte a un rilevatore di radiazioni”. In particolare per lo iodio, che si concentra nella tiroide, esistono specifici sistemi di monitoraggio: il rilevatore viene posto di fronte al collo come una sorta di cinepresa che, anziché mostrare le immagini, svela l’eventuale numero di radiazioni che sono state assorbite. “Le raccomandazioni internazionali suggeriscono per lo iodio la misura in vivo di dose alla tiroide - ricorda Fantuzzi - mentre la misurazione sulle urine è meno accurata perché dipende dai processi di escrezione della radioattività, che diventa più attendibile a una distanza di almeno cinque giorni dall’esposizione”.

Pur essendo provviste di apposite strumentazioni per la rilevazione della radioattività, le Usl non sono specializzate in questo tipo di misurazione per cui offrono un primo “livello” di indagine. “L’Enea invece ha a disposizione una lunga esperienza e un’attrezzatura all’avanguardia a livello europeo - commenta Fantuzzi  - Le attività portate avanti in questi giorni dagli ospedali possono essere utili per uno screening, ma la nostra agenzia è a disposizione per convalidare i dati con migliori sensibilità”. Oltre all’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze, l’Enea ha ricevuto una richiesta di “intervento” dal Policlinico Umberto I di Roma, ma anche da Cesena e Bologna. “L’Enea è nato come ente nucleare, per cui la competenza in tema di radioprotezione e misura della radioattività ne fa parte integrante - conclude Fantuzzi - Ci rendiamo disponibili sull’intero territorio nazionale per approfondire i dati rilevati dalle singole strutture ospedaliere”.

Fonte: Vivereinarmonia.it






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