MARTA, FESTA DELLA MADONNA DEL MONTE: 14 maggio, offerta di primizie primaverili e religiosità popolare.
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La festa della Madonna del Monte, senza dubbio la più cara al cuore dei martani, si celebra il 14 maggio. Essa ha conservato la struttura arcaica dei riti di offerta delle primizie primaverili su uno sfondo di religiosità popolare.
Le origini della festa si perdono nella notte dei tempi e nella leggenda, ma è possibile rintracciare una mescolanza di elementi sacri e profani che ci riportano ai riti etruschi della fecondità e del ciclo delle stagioni e alle celebrazioni in onore delle dee Maia e Cerere, divinità della primavera, delle primizie, dei raccolti.


Da vari decenni gli studiosi di folklore hanno cercato di chiarire le origini, gli aspetti antropologici e culturali di questa festa assai complessa nei suoi significati storici, gestuali, rituali, espressivi, linguistici, sociali, ma molto resta ancora da verificare, anche perché molteplici sono le tesi interpretative, a cominciare da quelle che dovrebbero spiegare l’appellativo di “Barabbata”, nome con la quale la festa è conosciuta, ma che non incontra il favore della popolazione di Marta, che pur usandolo, preferisce chiamarla “Festa della Madonna del Monte o delle Passate”.


Dal punto di vista storico, lasciati da parte eventuali legami con celebrazioni pagane, l’origine della festa può farsi risalire al IX secolo, e propriamente alle processioni che, ad imitazione di quella dell’Assunta, istituita in Roma da Leone IV (847-855), vennero in uso in varie città. Infatti la processione del 14 agosto, descritta da uno storico viterbese, ha tali analogie con quella di Marta, da far pensare che questa ne sia una imitazione. Dai libri dei Verbali Consiliari conservati nell’Archivio Storico di Marta (il Verbale più antico risale al 1555) si desume che nel 1557 si celebrava la Festa, che   era   fissata   il   14   maggio,  e   nella   seduta   del   9/5/1557 il Consiglio Comunale rimetteva ai voti dei Consiglieri la proposta “... si vogliano fare la festa secundo il solito…” . Possiamo concludere che questa si celebrava da tempi molto più antichi, almeno a “memoria d’uomo”.

Purtroppo non ci sono pervenuti documenti scritti anteriori a tale data. Tutte le spese erano assunte dalla Comunità e venivano ratificate dal Consiglio Comunale. Il denaro serviva per il pasto che veniva offerto al Clero, ai magistrati, ai soldati, ai bifolchi, ai casenghi, ai pifferi, ai trombetti, ai “violoni” ossia ai musici che rallegravano la Festa. Il tamburo non mancò mai, anzi, il tamburino era tenuto a stipendio fisso. Tali oneri risultano dai Registri delle Spese della Comunità (Bollettari). Fino al 1608 le categorie che sfilavano nella processione erano solamente quelle che rappresentavano il lavoro dei campi: i Casenghi, i Bifolchi, i Villani. ( I Casenghi sono coloro che,   fino a qualche decennio indietro,  a cavallo, avevano ufficio di sorveglianti delle tenute dei proprietari terrieri; i Bifolchi sono coloro che arano e lavorano la terra con l’aratro trainato dai buoi; i Villani sono coloro che lavorano come agricoltori nelle grandi aziende terriere). Nel 1608 entrano a far parte del Corteo e del banchetto i Pescatori.



Nel 1704 una controversia di natura giuridica, sorta tra il Vescovo della diocesi, Cardinale Marco Antonio Barbarigo, e i Padri Minimi di San Francesco di Paola, preposti alla custodia del Santuario della Madonna del Monte, fa nascere “Le Passate”, cioè i tre giri che i partecipanti al Corteo compiono entrando dalla porta della chiesa e uscendo dalla porta del convento, attraversando l’area sacra del Presbiterio, con animali e attrezzi da lavoro. Le “Passate” riaffermano e perpetuano il ricordo della vittoria dell’Ordine dei Minimi sui decreti  e le ingiunzioni vescovili, vittoria che fu celebrata con modalità sregolate e sacrileghe. Negli anni seguenti “Le Passate” furono proibite dall’autorità ecclesiastica per il disordine e il chiasso che disturbavano le sacre funzioni. Solo nel 1775 il vescovo permise di riprendere tale consuetudine    con    modalità    più    consone    al    sacro    luogo “ …si permettessero l’offerta dei ceri, vino, grano, pesci e denaro, ma non fossero lecite le grida e gli scherzi che pescatori, vignaroli e contadini si permettevano in chiesa con le donne”.

Intorno al 1820 risale la netta fisionomia delle quattro categorie partecipanti al Corteo: i Casenghi a cavallo, i Bifolchi, i Villani, i Pescatori, ciascuna categoria con un “Signore” che si offriva assumendosi l’impegno della ricompensa per i partecipanti al Corteo. Tale ricompensa era costituita da una ciambella lessata e infornata (bis-cotta) e da offerta di vino. Dopo il 1870, con la presa di Roma, si diffusero atteggiamenti anticlericali; il popolo non si sentì più frenato dalla Chiesa e nel Corteo furono introdotti gli artigiani: calzolai, muratori, falegnami. Dopo la Prima Guerra Mondiale le “Passate” con la relativa Processione Offertoriale vennero tolte dall’Offertorio della S. Messa e consentite soltanto a rito ultimato e gli artigiani furono eliminati dal Corteo perché estranei alla tradizione. In seguito, anche ad opera di Mons. Tarquini, parroco di Marta, la  celebrazione della Festa è stata ricondotta sempre più nello spirito di una cerimonia religiosa.



L’atmosfera inebriante della festa si comincia a sentire dal giorno precedente, 13 maggio, quando le autorità civili, con il Clero e il popolo, nel pomeriggio salgono in processione al Santuario per la celebrazione dei Vespri. Al termine del rito religioso, il Parroco annuncia i nomi dei “Signori” della festa che hanno il compito di distribuire la tradizionale ciambella ai partecipanti della loro categoria. All’uscita dal Santuario viene innalzato un globo aerostatico, e altri due vengono innalzati alla sera. La notte tra il 13 e il 14 è tutta dedicata agli ultimi ritocchi e agli addobbi delle “fontane”, cioè i carri allegorici che sfileranno nel Corteo. Per tutta la notte, nei luoghi dove è in allestimento un carro, si odono canti e inni alla Madonna. L’alba del 14 maggio viene salutata dal secolare rullo dei tamburi, dal suono delle campane, da spari di bombe, dal coro dei mietitori che canta inni a Maria.


I partecipanti al Corteo (per tradizione sono soltanto di sesso maschile), si radunano dietro al tamburino e ai Palii delle quattro categorie portati dai rispettivi “Signori” e girano per il paese cantando e inneggiando a Maria e dando così l’annuncio del giorno festivo.
Alle sei del mattino, al Santuario, il vescovo celebra la S. Messa per i soli partecipanti alle “Passate”. Intorno alle 8,30 tutti i partecipanti si radunano sul lungolago e verso le nove, mentre le campane della Collegiata suonano a festa,  il Corteo sfila per le vie del paese per raggiungere la chiesa del Monte. Sfilano dapprima i Casenghi, poi i Bifolchi, i Villani, i Pescatori. Giunti sulla piazza principale si uniscono al Corteo: la Banda Musicale, i Ceri, il Clero, le Autorità Civili con il Gonfalone Municipale, il Popolo. Per tutto il percorso, oltre ai canti alla Madonna, si ode un continuo inneggiare: “Evviva Maria. Sia lodato il Santissimo Sacramento. Evviva la Madonna Santissima del Monte. Evviva Gesù e Maria” , in un crescendo di gesti rituali, euforia, esplosione gioiosa. I Casenghi, a cavallo, con camicia bianca, pantaloni neri,  fascia azzurra alla vita, cappello maremmano, portano cordami e attrezzi da lavoro; i Bifolchi  sfilano con aratri a chiodo tirati da vacche maremmane e attrezzi tradizionali (gioghi, cerrate, pungoli…); i pastori (sottocategoria dei Bifolchi) vestono con indumenti di pelle di capra, portano le greggi, sfilano con carri a forma di capanna mentre lavorano ricotta e formaggio; i Villani sono divisi in 5 sottocategorie: i Sementerelli (i seminatori), le Vanghe, i Mietitori, i Falciatori, le Fontane. Sono vestiti con tipici costumi da lavoro, portano attrezzi , adorni di fiori e frutta, legati al lavoro dei campi.

Le “Fontane” sono carri allegorici in cui compaiono: l’immagine della Madonna, le primizie del lavoro, la raffigurazione  in miniatura dei lavori campestri, sono adorni di fiori e di primizie fuori stagione conservati con antichi metodi segreti. Si chiamano “Fontane” perché spesso sono arricchiti di zampilli d’acqua; i  Pescatori  portano abiti  da lavoro e sfilano con le barche colme di pesci del lago, con le reti, con carri adorni di pesci e fiori; i Ceri sono due e rappresentano l’offerta delle categorie e della Comunità alla Madonna. Raggiunta la chiesa viene celebrata la S. Messa cantata e dopo iniziano “Le Passate”, cioè i tre giri della Chiesa che ogni categoria compie;  al termine dei tre giri rituali ogni partecipante riceve la tradizionale ciambella e lascia sull’altare l’offerta consistente in prodotti della terra, pesci del lago, formaggi e ricotta. Nel passare davanti al sacerdote officiante che siede in presbiterio con una reliquia della Madonna in mano, detta “La Pace”, ogni persona si china a baciarla.  Subito dopo, il Corteo si ricompone e torna al paese,  raggiungendo la piazza principale attraverso le piccole strade del Centro Storico, mentre dalle finestre delle case una pioggia di fiori di ginestra, di petali di rose, di erbe profumate cade incessantemente sulla folla. Quando l’ultimo carro è giunto sulla piazza Umberto I  il sacerdote impartisce la benedizione e il Corteo si scioglie. E intanto ogni martano pensa alla festa della Madonna del Monte dell’anno che verrà.



ciambelle della madonna del monte

Le tradizionali ciambelle che i “Signori” della festa distribuiscono ai “Passanti” della propria categoria sono così preparate:
Si impastano 4 Kg di farina, alcuni grammi di lievito per il pane, un pugno di anice, e alcuni grammi di sale. Si aggiunge acqua quanto basta per avere una pasta abbastanza consistente e dura. La pasta così ottenuta viene lavorata a lungo, per rendere l’impasto omogeneo ed evitare la lievitazione. Quando il composto ottenuto è omogeneo, si fanno tante parti di un Kg ciascuna. Questa porzione viene stesa a mano fino a formare un cilindro lungo circa 50 cm. Si dà poi la forma di una ciambella, e subito dopo la si mette in acqua bollente leggermente salata  facendola  cuocere fino a quando ritorna in superficie. A questo punto la si toglie dall’acqua e si pone in acqua fredda. Subito dopo si procede alla operazione detta “sfriciatura”, che consiste nel praticare una apertura lungo tutta la ciambella, nella parte interna. Quando la ciambella è fredda si inforna e la si lascia cuocere una seconda volta. Quando esce dal forno, si cosparge la ciambella con un composto di acqua e zucchero per renderla lucida. Le ciambelle così ottenute si conservano inalterate per lungo tempo, anche per diversi anni.

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