GEOGASTOCK, CONFINDUSTRIA BASILICATA ALLA CANNA DEL GAS: indifferente ad elevato impatto ambientale, problema smaltimento fumi e oli reflui.
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È facile farsi i conti in tasca pensando di sfruttare la proprietà pubblica, dove a rimetterci sono il cittadino e il territorio. La Ola, Organizzazione lucana ambientalista, denuncia la facile superficialità dimostrata da Confindustria Basilicata con il comunicato emesso ieri sulla questione della Geogastock. Un atteggiamento per nulla istituzionale che, nonostante la loro condizione di privilegio economico-sociale, rispetto alle dinamiche di povertà in incremento  che registra la Basilicata, si permette di sottovalutare sia i rischio geo-ambientali dell'affare Geogastock, che quelli economici. Pensando solo al tornaconto di qualche suo iscritto che già si frega le mani per la possibilità di partecipare a quote di realizzazione della centrale di compressione del gas, necessaria a stoccare il gas in profondità a 1500 metri di profondità.

La centrale di compressione ha un elevato impatto ambientale, non si sa dove e come potrà smaltire fumi, oli reflui e acque tossiche di scarto (manca persino l'obbligatorio Piano provinciale della qualità dell'aria), prenderà dal territorio circa un milione di mc. di acqua ogni anno per il suo funzionamento, e rappresenta una piccola parte del giro di affari che si muove intorno allo stoccaggio di gas. La punta dell'iceberg!

Cugno le Macine ha, infatti, una capacità di stoccaggio di 1 miliardo e 800 milioni di mc. di gas. Un miliardo farà da "cushion gas", cioè gas cuscinetto per facilitare la pressione del pescaggio, e 800 milioni sarà invece il "working gas", il gas da movimentare e da vendere. In estate i commercianti del gas (Eni, Total, Bp, Sel, eccetera) potranno comprare dalla Geogastock quote di stoccaggio dal deposito lucano di Cugno le Macine, pagando alla società italo-russa 2 centesimi a mc. (che incasserà circa 16 milioni di euro ogni anno),  per depositarvi temporaneamente il gas comprato in estate, quando costa meno, 25/28 centesimi a mc., per rivenderlo in inverno, quando il prezzo sale enormemente. Questo surplus di guadagno, per le società minerarie può essere anche di 80 milioni di euro, all'interno di un valore di mercato complessivo per gli 800 milioni di mc. stoccabili, che può raggiungere anche i 240 milioni di euro all'anno.

Di questa enormità di denaro, al territorio che è proprietario dei pozzi di Cugno le Macine, resteranno - se l'affare andrà in porto -, 1 milione di euro una tantum per i tre comuni di Ferrandina, Pisticci e Salandra e 15 posti di "netturbini" della centrale di compressione (i quattro tecnici esperti e superpagati verranno da fuori). Oltre al rischio che i reflui oleosi, le acque di scarto, i fumi della centrale vadano ad assommarsi agli elevati livelli di inquinamento già presenti in Valbasento. Area che già paga fortemente in termini di inquinamento in quanto area di bonifica nazionale e dove gli stessi pozzi di stoccaggio di Cugno le Macine sono da bonificare, come ha affermato pubblicamente l'Arpab - e validato dal Ministero per lo sviluppo economico -, enti entrambi presenti, insieme ai massimi dirigenti della Geogastock, ad un convegno organizzato a Ferrandina dalla Ola e da Ambiente & Legalità, al quale erano invece assenti alcuni degli attori principali dello sfruttamento energetico in Basilicata, l'Eni e la Regione.

È facile, dunque, parlare - come ha fatto Confindustria - quando la  "cantina" da svendere agli interessi privati è degli altri e non è  propria: in tal caso avremmo voluto proprio sapere la posizione  dell'associazione degli industriali, se la proprietà di Cugno le  Macine fosse stato, putacaso, non pubblica, ma di qualche loro  iscritto. Forse avrebbero preteso più del 20 per cento dell'affare  complessivo e forse avremmo anche visto Confindustria Basilicata  ricordarsi che non può esistere alcuna economia collettiva, se a  rimetterci è la qualità della vita dei cittadini e del territorio che  abitano.

Proprio la Valbasento, con l'area industriale di Tito, produttrici  finora di cattedrali nel deserto, inquinamento, disoccupazione e un  po' di cassa integrazione, sono la fotografia di una gestione,  privatistica, non collettiva e fallimentare sia per l'economia che per  l'ambiente lucano.
La Ola, Organizzazione lucana ambientalista, pertanto, invita tutti  gli attori pro stoccaggio, ma soprattutto i tre sindaci, Saverio  D'Amelio, Vito di Trani e Giuseppe Soranno, che ne fanno solo una  questione di qualche spicciolo in più, a dare qualche spiegazione in  più ai propri elettori e ai cittadini su quali rischi ambientali senza  reali ricadute economiche vanno nuovamente a determinare in un'area  già maltrattata come la Valbasento.

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