Novità e cambiamenti nella riforma del lavoro, ultime notizie Roma - Il governo ha incassato ieri la fiducia sul disegno di legge per la riforma del mercato del lavoro, chiudendo l’iter del provvedimento con l’approvazione definitiva. L’incombere del vertice europeo di oggi 28 e domani 29 giugno è stato il vero e proprio pungolo del Parlamento che ha approvato il  ddl lavoro in tempi molto stretti per permettere a Mario Monti di presentarsi con maggiore forza al consiglio europeo, il quale comunicherà oggi al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy i “progressi” dell’Italia nelle riforme strutturali.

Mario Monti si è anche solennemente impegnato nell’aula della Camera di intervenere presto con modifiche al testo, nei punti chiesti da Pd e Pdl. Ha promesso un “impegno del governo” per modificare con successivi provvedimenti la riforma nella parte della flessibilità interna, come richiesto da Pdl, nonché sugli ammortizzatori sociali, come invece voluto dal Pd.

I problemi nel testo della riforma comunque permangono nonostante l’approvazione, a cominciare dal numero degli esodati. Lavoratori che avevano già scelto le dimissioni dalla propria azienda sapendo di essere molto vicini alla pensione. E invece si ritroverebbero oggi senza stipendio e senza pensione non per un anno che già sarebbe una cosa intollerabile per chi vive del proprio stipendio, ma addirittura per 5 o 6 anni.

Ebbene, ad oggi il governo non conosce il numero di quanti lavoratori siano. Non è dato sapere. Abbiamo assistito nei giorni scorsi al giochetto dei numeri, senza che Elsa Fornero si sia più espressa in materia. Insomma, è stata approvata una riforma senza avere la benché minima idea delle conseguenze che questa stessa potrebbe avere. E, soprattutto, su quanti lavoratori.

Tra i provvedimenti approvati ieri, l’articolo 18 e la nuova struttura degli ammortizzatori sociali. L’articolo 18 è stato un parto. Dopo tanto parlare sulla necessità di abolirlo in toto, anche per le pressioni dei sindacati che hanno trovato l’appoggio dell’Idv (unico partito nell’arco parlamentare a garantire un appoggio alle forze sindacali), si è deciso di reintegrarlo. Ma, in realtà, è una farsa: in caso di licenziamento discriminatorio, economico o disciplinare illegittimo, il giudice “ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”.
Tutto risolto, sembrerebbe. E invece no. Nei fatti a decidere se sia il caso di reintegrare sarà il giudice. E, a quanto pare, in maniera del tutto arbitraria. Nella riforma, infatti, si dice che il giudice, per quanto riguarda il licenziamento economico, è tenuto ad applicare il reintegro immediato “nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo”. Ma in cosa consista questa insussistenza non è specificato. Stesso dicasi per il licenziamento disciplinare: reintegro previsto se “il fatto non sussiste”. Tante parole, dunque, ma poca chiarezza.

Passiamo agli ammortizzatori sociali. La riforma, in pratica, ha smantellato l’attuale sistema, per crearne uno che non include effettivamente i lavoratori discontinui: “la c.d. mini ASpI – come è scritto nel documento a firma Idv sulle pregiudiziali di costituzionalità della riforma (pregiudiziali bocciate solo pochi giorni fa) - viene riconosciuta per la metà delle settimane su cui sono stati versati i contributi, producendo un taglio rispetto al valore dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti attualmente corrisposta; la previsione di copertura figurativa delle settimane lavorate nel biennio mobile, cumulata alla riduzione della durata di erogazione dell’indennità, produce un peggioramento significativo dei diritti previdenziali”. A non essere inclusi nemmeno i collaboratori a progetto. Senza dimenticare, peraltro, che sono in tanti a ritenere che la previsione di spesa per i nuovi ammortizzatori potrebbe essere insufficiente.

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