Ombra del doping sulle Olimpiadi, la storia di Alex Schwazer è da un paio di giorni al centro dell’attenzione di televisioni, telegiornali, carta stampata e pagine Web, ultime notizie Londra - L’Italia sembra godere di più nel vedere le immagini o i video di un ragazzo di 27 anni che piange mentre ammette le sue colpe, piuttosto che nel vedere il luccichio di una medaglia.

Le lacrime fanno sempre effetto, a volte perché suscitano compassione, altre volte perché manifestano dolore e vergogna, in ogni caso sembrano uno dei pochi momenti in cui non si riesce a mentire, sembrano un simbolo della sincerità e dei veri sentimenti di una persona. E forse sta proprio qui il motivo per cui Alex Schwazer, al di là della triste vicenda che lo ha visto protagonista, non dovrebbe essere considerato un capro espiatorio del moralismo all’italiana, quanto piuttosto un atleta che nel mare magnum del malcostume che contraddistingue da anni lo sport italiano ha almeno avuto il coraggio di ammettere pubblicamente le sue colpe e di raccontare a tutti la sua storia.

Senza andare tanto lontano, qualcuno ha mai visto Leonardo Bonucci o Simone Pepe in televisione scusarsi anche solo per le presunte voci sulla vicenda calcioscommesse? No. Ma loro se lo possono permettere perché sono calciatori a cui tutto è permesso e poi male che vada saranno comunque alcuni mesi di squalifica, ma intanto basta un europeo e qualche campionato per riempirsi le tasche e stare a posto tutta la vita. Qualcuno ha mai visto Federica Pellegrini o Filippo Magnini piangere per una vittoria su cui l’Italia nutriva enormi aspettative? No. Ma tanto si può sempre gettare fango su allenatori, federazione e compagni di squadra, dire che si è arrivati alle Olimpiadi senza essere stati adeguatamente allenati e tutto si chiude senza troppe storie, anzi, anche con un bel bacio in tribuna.

La storia di Alex Schwzer è diversa. Ha ammesso prima la sua positività al doping all’ANSA, poi ha parlato di fronte alle telecamere del Tg1, infine una conferenza stampa in cui ha spiegato come sono andate le cose. Anche se la storia del viaggio in Turchia, ad Antalya, dove avrebbe acquistato, all’insaputa di tutti, anche della fidanzata Carolina Kostner, l’eritropoietina (EPO) che poi lo ha fatto risultare positivo al doping, non regge, ci sono altri elementi nella sua storia che lo rendono degno se non di ammirazione, almeno di considerazione e di stima per le rivelazioni fatte.

La storia inizia con l’oro di Pechino 2008 nella 50 km, un grande successo ottenuto con il solo impegno e senza nessuna sostanza dopante: “Prima di Pechino uscivo, mi divertivo, ero sereno e ho vinto l’Olimpiade in 3 ore e 37’; dopo Pechino, invece, le aspettative mi hanno strangolato al punto di sentirmi in colpa anche se andavo a bere una birra con un amico e tornavo a casa con un’ora di ritardo. Ogni giorno mi dicevo: cosa succederà se non vincerò anche a Londra? Così mi sfiancavo negli allenamenti al punto che negli ultimi tempi la fatica mi dava la nausea e la marcia mi disgustava. Mi svegliavo la mattina con l’incubo della giornata che avevo davanti”.

Poi le aspettative, e il terrore di perdere che lo ha portato all’inferno: «Volevo tutto e ho perso tutto, ma la colpa è dell’oro di Pechino che mi ha messo addosso una pressione insostenibile. Volevo essere sempre più competitivo e così mi è andato in tilt il cervello, ogni giorno pensavo solo a nutrirmi per tre ore, ad allenarmi per sei ore e a dormire per quindici ore”.

Questa la condizione psicologica che ha portato Alex Schwazer al viaggio in Turchia, a settembre dello scorso anno, per comprare l’eritropoietina: “Ho portato con me 1500 euro e le ho messe sul banco del farmacista che non ha fatto domande” e ancora “Ho tenuto l'Epo in frigo in un contenitore diverso. E' stata dura dire a Carolina che fosse Vitamina B12. No, lei non sapeva niente, ho fatto tutto da solo”.

E sulla Kostner confessa, tra le lacrime: “Carolina è una persona speciale, mi è stata vicina in questi giorni. Quando l'ha saputo mi ha detto che non me l'ero meritato – e poi - La differenza fra me e Carolina è che a lei piace quel che fa. Io, invece, non ce la facevo più. Chi ha talento e ce la mette tutta, con passione, ce la può fare. Io l'ho dimostrato a Pechino, quando ero sereno e non così sotto pressione come ora e avevo valori ematici di un anemico”.

E alla fine Schwzwer conclude: "Ora mi sono liberato". Liberato dal peso di una menzogna che non riusciva a sostenere più “perché io - dice - non so mentire. La mattina del 30 luglio, quando si sono presentati a casa mia per il controllo antidoping, non ho più avuto la forza di dire a mia madre di non aprire la porta. Non potevo e non volevo più mentire, volevo solo che tutto finisse. Vorrei solo poter fare una vita normale, tornare a casa la sera dopo il lavoro e trovare la mia fidanzata e poter vedere i miei genitori, non una volta al mese, ma quando voglio io”.

“Volevo a tutti costi fare la 20 km e anche la 50 – confessa il marciatore – Sulla 50 sono convinto che al top della forma - anche senza doping - avrei vinto, ma la 20 km è diversa, lì devi essere veloce nel finale e se vuoi fare anche la 50 km qualche giorno dopo, non funziona. Uno deve fare solo quello che sa fare, altrimenti sbaglia".

La vita di Alex Schwazer adesso cambierà radicalmente: non è più un atleta e da oggi neanche più carabiniere. Come ha dichiarato infatti ieri:  "Devo andare a Bologna per restituire la pistola e il tesserino". E nella commozione ha aggiunto: “devo tutto all'Arma. Se ho avuto la possibilità di esercitare questo sport da professionista, lo devo ai Carabinieri".

Ai giovani Schwazer dice: "Sì, è vero che a casa ho quattro medaglie, una olimpica, due mondiali e una degli europei, ma la vita è ben altro. La vita è quella normale, non quella estrema che ho condotto io negli ultimi anni. "Ho deluso tanta gente che credeva in me, conclude Schwazer, chiedo scusa per questo".



Simone Casavecchia

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