A proposito della dinamica fluviale, ultime notizie - In questi tragici giorni dell’alluvione in Sardegna su questo argomento se ne sono sentite e lette di tutti i colori tanto che in più di una occasione mi è tornato alla mente il vecchio adagio: il bel tacer non fu mai scritto!  
Per contrappasso, mi sono anche ricordato di una “massima” scritta addirittura da Galileo Galilei, che come è noto non era uno stupido, il quale nel suo "Discorso intorno a due Scienze nuove"1 ebbe a scrivere: “È più facile studiare il moto di corpi celesti infinitamente lontani che quello del ruscello che scorre ai nostri piedi”.

Secondo voi perché Galileo ebbe a scrivere quella frase, ormai sono quasi 600 anni orsono?  Io credo che prima di tutto Galileo abbia molto osservato il comportamento dell’acqua nello scorrere di un fiume o di un torrente e l’abbia osservato in condizioni diverse di portata. Certamente,  nel corso di queste sue ripetute osservazioni, non può non aver notato le profonde e talora sensibilissime modificazioni del tratto di fiume osservato: erosione e deposito prima di tutto, così come non può non aver notato che all’incessante modificarsi delle condizioni geometriche del letto variavano anche le direzioni e le stesse condizioni di moto dell’acqua. E siccome dice che “è più facile studiare il moto dei corpi celesti che quello del ruscello” vicino casa vuol dire che egli ha avuto la consapevolezza che nella simulazione del moto di un fiume le variabili sono moto più difficili da razionalizzare rispetto a quelle delle orbite dei corpi celesti.
I fiumi e torrenti infatti, nel loro corso naturale, ovvero quello che non ha subito interventi da parte dell’uomo, sono vivi nel senso che partecipano, essendo talora attori principali, dell’evoluzione delle terre emerse.

Se gli uomini e scienziati dei giorni nostri, che certamente hanno conoscenze scientifiche e tecniche superiori a quelle di Galileo, ma che a Lui sono inferiori in quanto a umiltà della conoscenza, non tornano alla semplice e pura osservazione io credo, che anche nel campo del cosiddetto dissesto idrogeologico, continueremo a vederne di cotte e di crude.

Due esempi reali, proprio di questi giorni.

Il primo. Un Sindaco di un comune sardo fra quelli colpiti dall’alluvione, certamente un buon sindaco, a domanda del giornalista che gli chiedeva se era una cosa buona che la strada che avevano davanti fosse stata realizzata lungo il percorso, a suo tempo deviato, di un torrente, ha detto chiaramente che non era una cosa buona e ha aggiunto che la “natura prima o poi si riprende quello che gli uomini le hanno tolto”.
Il secondo. Un importante Comune dell’Italia continentale, ha predisposto un progetto di scolmatore delle piene di un fiume che attraversa una parte di quel centro abitato. Un opera necessaria quindi, assai complessa per il grado di urbanizzazione stratificatasi nel tempo in quell’area ma anche per il fatto che quello scolmatore recapita direttamente a mare. Il colmo lo si ha se si considera che il progetto non ha una analisi idrologica degna di questo nome, né ha una analisi della geomorfologica locale a monte dell’opera di progetto e quindi nulla dice sul trasporto solido atteso nelle varie condizioni di precipitazione, né quindi prevede strutture in grado di trattenere il trasposto solido prima della derivazione, né ha una analisi del moto dalla derivazione a mare in modo da ipotizzare dove quel trasporto solido  andrà ad accumularsi.
Lascio ai lettori libertà di commento.

L’altra questione che in questi giorni mi fa riflettere è constatare come la popolazione sia assolutamente inconsapevole di quale siano, nella propria città, le aree a rischio e quali le più sicure, ed’é altresì inconsapevole della forza dell’acqua che in questi casi sempre domina e mai è dominata.
Alcune delle morti avvenute in Sardegna credo che dipendano proprio da questa ignoranza: persone che si rifugiano o rimangono negli scantinati o su strutture murarie precarie come un muro a secco o che sfidano la forza dell’acqua volendo per forza attraversare a piedi o in auto una strada o un ponte.

Se è vero che l’evento sardo è stato oggettivamente eccezionale è altrettanto vero che l’onda di piena ha colpito una comunità impreparata ad affrontare l’emergenza per il semplice fatto che le autorità competenti, forse distratte dall’edificato e dall’edificabile, non l’avevano informata di quali zone del paese o della città erano certamente sicure, e quali comportamenti dovevano assolutamente essere evitati.

Nessuno che abbia detto che in questi frangenti la prima ed unica cosa da mettere in salvo è la vita. Non le case o le cose. E se la gente, come è avvenuto, si rifiuta di abbandonare la propria abitazione ricordo che il responsabile locale della pubblica sicurezza ha tutta l’autorità di imporre, anche con la forza, lo sgombero delle abitazioni.

Ora fra i sindaci, che diciamolo con franchezza sono restii a emettere ordinanze per esempio di proibizione dell’uso dell’auto o di chiusura delle scuole ed uffici pubblici, ricorre, neanche troppo sottovoce, la lamentela che gli allerta meteo si susseguono a ritmo incalzante e il più delle volte non accade nulla di irreparabile.
A parte il fatto che il valore di una vita umana è di gran lunga superiore a qualsiasi interruzione di attività, io credo che come sempre dovrebbe prevalere il concetto della prudenza.

Se i sindaci dotassero poi le loro città di una mappa del rischio idrogeologico idraulico accompagnata da un “decalogo” di comportamenti virtuosi o da evitare, la gente intanto saprebbe se la zona dove abita o lavora è soggetta ad essere invasa dall’acqua e in che misura e poi saprebbe cosa fare in caso che all’allerta meteo, convenientemente pubblicizzato, faccia seguito anche l’esondazione del fiume o torrente.

Qualcuno potrebbe obiettare che i PAI “Piani di Assetto Idrogeologico” già individuano le aree a rischio. Io intanto voglio ricordare che spesso i PAI sono redatti a scala improbabile per essere davvero esecutivi e poi le riserve sulle metodologie adottate per la loro redazione sono più d’una: Io parlo di uno strumento molto più operativo che parta dall’attento esame delle condizioni fisiche del drenaggio superficiale e quindi della topografia a scala operativa e su questo ipotizzare l’evoluzione spazio-temporale di un’ondata di piena conseguente ad un dato valore delle precipitazioni.

Se questa ipotesi la ripetessimo per eventi statisticamente probabili per l’area di studio riusciremmo a discriminare, all’interno di una città, le aree certamente sicure rispetto a quelle non sicure o con grado di vulnerabilità crescente. Se unissimo a questa mappatura anche un decalogo di comportamenti da adottare da rendere noto alla popolazione a cominciare dalle scuole, insegnanti e studenti, magari accompagnata anche da qualche piccola esercitazione operativa io credo che gli amministratori locali avrebbero fatto un gran passo avanti, preventivo, nella gestione dell’emergenza.

Vittorio d’Oriano, vice presidente del Consiglio Nazionale Geologi

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