Oltre 100 morti, numerosi ostaggi ancora trattenuti, l’hotel Taj Mahal in fiamme e il cuore di una città dilaniato dalla paura e dal terrore. I recenti attentanti in India, che sono costati la vita anche ad un italiano, in base a quanto comunicato dalla Farnesina in mattinata, hanno scosso l’opinione pubblica mondiale.
Abbiamo avuto modo di raccogliere l’opinione di Darryl D’Monte, giornalista indiano che in questi giorni si trova in Italia per partecipare al VI Forum Internazionale dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura organizzato da Greenaccord a Viterbo.

Ecco la sua testimonianza:
Signor D’Monte, da dove viene esattamente e quale attività svolge in India?
Vengo proprio da Mumbai, capitale commerciale dell’India, in cui sono avvenuti gli attentati di ieri. Sono stato un editore del “The Times of India”, uno dei più importanti quotidiani in lingua inglese del mondo. Adesso faccio parte del Forum of Environmental Journalists of India e sono un giornalista free lance.

Quali sono le sue impressioni? Pensa che questi attentati abbiano un’origine internazionale?
Si tratta di una cosa completamente nuova. In India, in particolare a Mumbai, nel corso degli anni ci sono stati diversi attentati, ma questi sono diversi. Si tratta di gruppi altamente organizzati e questo mi potrebbe far pensare che ci sia una prospettiva internazionale. Il fatto stesso che gli ostaggi sequestrati erano in maggioranza americani e britannici dimostra che c’è la volontà di inviare chiari messaggi a queste realtà del mondo occidentale.

Perché colpire Mumbai?
Perché Mumbai è la capitale commerciale e finanziaria dell’India. E’ la nostra New York. E’ il simbolo di un paese in crescita, del suo sviluppo. Colpire Mumbai significa colpire il successo della nuova India.

Quale ruolo possono avere i media nell’affrontare questa delicata situazione?
I mezzi di comunicazione dovrebbero essere la base per risolvere qualsiasi ordine di problema, ma purtroppo la situazione è molto complicata.  Possiamo parlare di una vera “occupazione” di "terre", così come è accaduto con gli americani in Iraq, ed è molto difficile risolvere tale condizione perché  tutte le soluzioni che si trovano sono solo provvisorie e non risolutive. Sono come dei bendaggi intorno alle ferite: fermano l’emorragia, ma il veleno che entra dentro il corpo vi rimane per molto tempo ed è difficile da togliere. Quello a cui noi dobbiamo mirare non è mettere una toppa sopra la ferita, ma liberarci dal veleno. Occorre affrontare il problema alla radice.

Che impressione le ha dato il modo in cui è stata trattata la notizia dai media italiani?
Purtroppo non ho avuto ancora modo di leggere molto. Ho visto solo la tv e devo dire che le notizie mi sono sembrate un po’ superficiali: molte immagini ma pochi commenti. Ma si tratta di un problema che riguarda tutte le tv e non solo quella italiana.

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