L’Attuale Governo Berlusconi punta tutto sul nucleare come alternativa alle centrali inquinanti alimentate da combustibili fossili. Scelta giusta, scelta errata? Sicuramente errata, perché le centrali nucleari che si vorrebbero realizzare in Italia, si parla di un numero di 12, sono della terza generazione che hanno con sé tutti i difetti da sempre sottolineati non solo dal mondo ambientalista, ma dagli stessi scienziati, quali ad esempio la produzione abbondante di scorie radioattive con i relativi costi per lo stoccaggio, il trasporto e lo smaltimento. Non solo, ma restando sulla questione economica, i costi per la costruzione di una centrale nucleare della terza generazione e poi il suo smantellamento, dopo 30 o 40 anni di attività, non compensano gli utili di produzione e di vendita in rete di energia elettrica. Rispetto alle fonti convenzionali c’è da dire che comunque il nucleare ha il pregio di non incidere sul riscaldamento globale, infatti non emette gas serra. La quarta generazione di reattori atomici invece riduce drasticamente sia il problema delle scorie (che pur sempre produce) che dei costi di costruzione e smantellamento, nonché di gestione. Purtroppo su questi impianti di ultima generazione siamo ancora in alto mare, ci sono problemi tecnici e di sicurezza ancora da risolvere. Le centrali della quarta generazione saranno affidabili, così ci dicono gli scienziati, tra 6 o 7 anni. Il Governo attuale però non può aspettare, per cui ormai si è optato per le tradizionali centrali della terza generazione.

Ma queste centrali hanno anche un altro grande problema: la loro realizzazione. Per la costruzione di un impianto nucleare è necessario passare vari steps rigorosi, che vanno dalla localizzazione del sito, allo studio di sicurezza della zona ( zone soggette a terremoti, alluvioni ed altri eventi naturali disastrosi), dalla progettazione, all’impatto ambientale, dalla costruzione, alle infinite fasi di collaudo, dall’accensione del nocciolo atomico alla messa in rete dell’energia elettrica prodotta. Grazie a 40 anni di esperienze in questo settore, oggi siamo ben informati e sappiamo distinguere la realtà dalle favole e, quindi, non cadiamo più facilmente nelle trappole mediatiche.  Per cui sappiamo che in Paesi a regime totalitario, senza alcuna opposizione della gente, normalmente ci vogliono dai 6 ai 7 anni per superare tutta la trafila appena accennata. Nei Paesi democratici, come il nostro, in cui l’opinione della gente ancora conta, normalmente ci vogliono dai 9 ai 12 anni per accendere un reattore nucleare e mandare in rete l’energia elettrica. Ma tra 12 anni le nostre centrali saranno già obsolete, rispetto a quelle della quarta o addirittura quinta generazione e alle nuove ( speriamo!) a fusione nucleare.

Sono questi dati che ci debbono far riflettere. E quindi ci chiediamo, vale la pena attendere 12 o 15 anni per avere centrali della terza generazione e poi accorgerci che dovrebbero essere nuovamente sostituite con le più innovative e sicure? E nel frattempo che fare? Dobbiamo continuiamo a produrre inquinamento e gas serra dalla vecchie centrali a petrolio e a carbone?  Allora non c’è speranza, non ci sono alternative?  E invece ci sono le alternative che vedremo più avanti. A questo punto però è doveroso fare un discorso serio ai nostri governanti. A cui dovremmo chiedere: “ avete a cuore l’interesse del Paese e di tutti gli italiani oppure, “cavalcando la tigre del basta all’inquinamento da combustibili fossili”, puntate sul nucleare, ma solo per far contenta una certa  lobby industriale?”

La risposta del Governo potrebbe essere: “… e allora, che facciamo, restiamo sulle centrali a gas a petrolio e a carbone?” Nulla di tutto questo! Basta vedere cosa stanno facendo gli altri Paesi europei e,  una volta per tutte, imparare ad imitarli.

Basterebbe mettere in atto quello che gli scienziati dell’UE hanno chiamato “Smart Grid” che vuol dire: rete elettrica intelligente. Questo è un sistema di produzione energia elettrica e di messa in rete diverso da quello che comunemente conosciamo. E’ un modo in cui l’energia viene prodotta da grandi e piccoli produttori che, tutti insieme, creano una vera rete di distribuzione di elettricità. Tanti mini produttori di una città di 10.000 abitanti, ad esempio, se messi insieme, possono benissimo consentire alla centrale  che prima forniva la corrente elettrica in maniera tradizionale di risparmiare anche il 60 per cento della produzione elettrica. In Danimarca questo sistema sta diventando una realtà e ad oggi metà della sua energia arriva proprio dai piccoli impianti. Più microproduttori collegati tra loro possono costituire una “virtual plant”, ovvero una centrale virtuale. Si tratta di dotare tutti i tetti delle case di pannelli fotovoltaici e, dove solitamente il vento supera le 3000 ore l’anno di presenza, mettere piccoli generatori eolici( sotto la soglia delle 3000 ore di vento l’anno un generatore eolico, soprattutto se di grandi dimensioni, è antieconomico). Oltre a ciò se vicini a corsi d’acqua si possono attivare piccole turbine ad acqua, oppure realizzare cogeneratori a gas o da biomassa. Tutte queste fonti di produzione energia elettrica vengono collegate ad una rete che da una parte soddisfa le esigenze di chi produce e dall’altra compensa chi non può produrre perché limitato da motivi strutturali.

Un esempio di efficienza di questa “virtual plant” è dato dalla cittadina tedesca di Schoenau, immersa nella Foresta Nera. Nel 1997 una locale associazione ambientalista convinse tutti i cittadini ad iniziare a produrre autonomamente energia elettrica utilizzando pannelli fotovoltaici, cogeneratori a metano e piccoli impianti a biomassa che oltre a dare corrente elettrica producevano acqua calda. Nell’arco di 6 anni tutti i cittadini di Schoenau acquistarono la rete elettrica cittadina diventando di fatto i fornitori di energia elettrica di tutta la città. Oggi sono 75.000 i clienti di questa “virtual plant”. In Italia questo è possibile? Non so, ad oggi, nonostante da oltre un anno ai cittadini è consentito di mettere in rete la loro corrente elettrica ( ma con un limite di partecipazione privata che non può superare il 10%), ci sono ancora troppe difficoltà oggettive. Non ultime quelle di fissare un limite di immissione privata di energia in rete e poi, le solite bolsceviche burocrazie tutte nostre, le banche “distratte” e furbe, per finire poi con una miriade di venditori e cialtroni che ci bussano alla porta per venderci i loro “pacchetti energia” tutto compreso. Moltissimi di questi trasformatisi in brevissimo tempo da “venditori di auto o di salumi” in esperti di energia.

Qui il nostro Governo dovrebbe intervenire incentivando, come fanno in altri Paesi europei, queste scelte che vanno dallo Smart grid al Virtual plant. Questa operazione su scala nazionale costerebbe allo Stato quanto una sola centrale nucleare, ma consentirebbe di produrre energia equivalente a 5 centrali nucleari. Non solo, ma entro 5 anni, iniziando da subito, avremmo su scala nazionale un risparmio di energia prodotta dalle centrali elettriche convenzionali del 20%. In questo modo potremmo spegnere le due terribili centrali a carbone di Brindisi e di Civitavecchia. Non sono sogni, ma realtà e tale potrà dirsi solo se questo Governo, ravvedendosi, riuscirà a mandare a casa i grandi speculatori che per propri meri interessi vorrebbero “appiopparci” le loro vecchie tecnologie nucleari. Se il Governo non agirà in questo senso allora dovremmo sospettare che non fa gli interessi degli italiani ma, ahimè, delle solite lobbies industriali che del futuro del nostro Paese proprio non gli importa nulla.

Ennio La Malfa

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