ROMA ( UnoNotizie.it )

L’attuale crisi della sinistra italiana merita una riflessione, per così dire, panoramica, non eccessivamente centrata sui più recenti avvenimenti politici, a partire dal fallimento del secondo governo Prodi, dai quali tuttavia non si può prescindere.

La solita miopia di molti osservatori politici, all’indomani delle elezioni europee, ci ha regalato l’ovvia considerazione che l’ultima scissione consumata in casa comunista è stata nefasta e che i voti di Rifondazione - Comunisti Italiani, e Sinistra e Libertà uniti insieme (operazione aritmetica che in politica segue regole non matematiche) avrebbero consentito di superare agevolmente la soglia di sbarramento e di piazzare la sinistra ad un livello di dignitosa sopravvivenza.

La grande forza dei fatti, rispetto alle ipotesi, è che essi, piacevoli o sgradevoli che siano, rappresentano l’unica realtà con la quale doversi confrontare e in questo caso poi una realtà amara, ma da preferire ad una sopravvivenza agonizzante.

Il gioco delle ipotesi è tuttavia affascinante e persino utile.

Cosa sarebbe stato della sinistra italiana se i due pezzi avessero superato entrambi lo sbarramento, sia pure di poco?

Cosa sarebbe accaduto se a superare la soglia fosse stato uno solo dei due pezzi?

E quale?

Cosa sarebbe stato se i due cartelli elettorali ( di questo si è trattato) si fossero presentati uniti?

Tutte domande interessanti le cui risposte disegnano soluzioni pasticciate e scenari di agonia indignitosa.

Forse è meglio che la sinistra italiana sia morta perché si possa pensare ad un “nuovo inizio”, con la mente libera dai vincoli imposti da una storia di due decenni (dal 1991 ) fatta di battaglie entusiasmanti, ma anche di frantumazioni devastanti.

Perché ciò avvenga, tuttavia, (pensare ad un nuovo inizio intendo ) è necessario che si verifichino alcune condizioni: la prima è che si prenda atto (non è affatto scontato ) dell’avvenuto decesso; in assenza di un dibattito politico libero che notifichi l’evento la sinistra potrebbe continuare a combattere come quel soldato ucciso che però non sapeva di essere morto. La seconda è che i gruppi dirigenti siano disposti a sperimentare, avendone le risorse politiche, (ulteriore sub-condizione ) il percorso di un nuovo inizio.

A ben vedere forse si tratta della stessa condizione.

In questi giorni, mentre ho solo avvertito l’eco delle analisi a livello nazionale,ho voluto partecipare a qualche dibattito di base interno alle formazioni di sinistra e non mi pare che alcuna delle condizioni cui ho accennato si stia verificando.

Al di là di alcune ipocrite dichiarazioni di ammissioni di responsabilità, all’indomani del voto, tutte ammiccanti allo scenario “io sono unitario ma gli altri non ci stanno “ subito seguite da un qualche indecoroso battibecco televisivo, il dibattito alla base è fatto di una sconfortante e pervicace affermazione della propria identità contro tutti.

E poi, anche a voler prendere per buone le dichiarazioni unitarie, un “nuovo inizio “ non è certo l’unione dell’esistente.

Uno dei temi più frequentati nel dibattito di base, e non solo se ben comprendo, è quello del cattivo Partito Democratico che ha deliberatamente determinato la scomparsa della sinistra, prima con la decisione di Veltroni di correre da solo e poi introducendo la fatidica soglia di sbarramento alle europee.

Fatti incontrovertibili questi che tuttavia finiscono per concentrare l’attenzione sulla spada che ti colpisce e non sulle ragioni della tua debolezza. La tecnica delle soglie di sbarramento è stata inaugurata in Sicilia dal centrodestra, complici allora i DS e i Popolari, ed ha prodotto nel 2006, per la prima volta, l’esclusione di una forza comunista dall’Assemblea Regionale Siciliana.

Quella vicenda aveva, ed ebbe poi, una valenza precorritrice rispetto agli eventi nazionali ed è responsabilità del gruppo dirigente nazionale di Rifondazione Comunista non averne colto gli elementi di grave pericolo.

Sono stato tra quelli che allora lanciarono per tempo l’allarme sulla soglia di sbarramento e non ne sottovaluto di certo ora gli effetti, tuttavia credo che sia tempo che a sinistra ci si rivolga alcune domande cruciali: senza la soglia di sbarramento la sinistra avrebbe potuto proseguire indisturbata la sua esistenza? O piuttosto la sua crisi interna l’aveva già logorata?  Non si era esaurito un ruolo politico?

Un partito non nasce da una azione meramente volontaristica, si debbono creare nella società quelle condizioni che ne motivano l’esistenza in termini di rappresentanza (comunque la si voglia intendere) e, a ben guardare, il voto al nord indica che il pezzo operaio della società non individua più nelle forze di sinistra lo strumento della propria rappresentanza piuttosto è sempre più rivolto verso formazioni tipo la Lega o altro.

Ecco questo è stato un altro degli errori cruciali della sinistra degli ultimi anni il ritenere cioè che la rappresentanza, o meglio il diritto ad essa, fosse insita nel nome, nella simbologia e non nell’azione politica.

Non ha fatto male alla sinistra che Prodi vincesse (ancora i fatti tiranni ci ricordano che le migliori performances elettorali di Rifondazione Comunista sono state nel 1996 e nel 2006 quando cioè i comunisti erano in posizione utile per battere Berlusconi ) le ha fatto male piuttosto non essere riuscita a dare risposte di sinistra alle mille crisi aziendali che in quegli anni agitavano il mondo del lavoro, le ha fatto male non aver saputo , persino nella tecnica parlamentare,controbattere ai mille ricatti di Dini, di Bordon, di Mastella, sulla sicurezza, sulle pensioni, sul precariato, le ha fatto male non aver saputo comunicare con il popolo di sinistra per denunciare tali ricatti, le ha fatto male non essere riuscita a ricavarsi uno spazio di autonomia tra la necessità di non far cadere Prodi e il bisogno di affermare la propria cultura nell’azione di governo e più di ogni altra cosa le ha fatto molto male leggere come in uno specchio rovesciato i segni di una grande spinta unitaria contenuti nella grande manifestazione del 20 Ottobre 2007.

Ha ragione chi oggi sostiene (anche se minoritaria è una posizione registrabile nel dibattito di base ) che qualunque risposta si voglia dare alla crisi della sinistra non si possa prescindere dalla scelta fra due modelli affatto diversi di partito (che non si identificano meccanicamente con i due pezzi attuali della sinistra ): uno collocato in posizione utile per battere le destre e l’altro che giudica l’azione politica non necessariamente legata alla rappresentanza istituzionale.

A ben vedere forse questi modelli rappresentano le due tendenze che Rifondazione si è portata dietro fin dalla sua nascita e forse già contenute nel dibattito del XIX e del XX congresso del PCI.

Una tendenza fortemente innovatrice che ha navigato nel mare aperto della sperimentazione bertinottiana senza approdare a nulla e un’altra ostinatamente identitaria, incapaci entrambe di armonizzarsi in un equilibrio fecondo. Due forze che, come le maree, hanno lavorato a separare, a divaricare.

Le forze di marea, si sa, sono capaci di spaccare l’atomo, l’esser piccoli quindi non garantisce nessuno circa la propria stabile sopravvivenza, sempre che in politica abbia un senso sopravvivere nelle dimensioni atomiche, una forza di sinistra ha senso se è capace di trasformare la realtà e sotto certe dimensioni l’azione politica somiglia più ad una pratica narcisistica piccolo borghese che alla prassi di ispirazione marxista.  

Santo Liotta

 

Nella foto d'archivio l'aula del Senato

 

 

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