Il diritto allo studio, un tema già di per sé complesso ed articolato, negli ultimi anni è stato continuamente messo in discussione e attaccato nella sua accezione primaria: quella di diritto alla formazione e alla conoscenza pubblica  di cui è garante la Costituzione.

Sembra legittimo chiedersi se il sistema della pubblica istruzione stia ancora servendo gli interessi della comunità o se l'obbiettivo si sia spostato a costruire un sistema di istruzione che serva prima di tutto interessi privati ed economici; le linee guida ministeriali impongono infatti la trasformazione di università e scuole in luoghi d'affari; l'introduzione del prestito d'onore provocherà l'indebitamento degli studenti mentre continueranno a crescere i tagli ai fondi pubblici per l'istruzione con un ulteriore ed inevitabile aumento delle tasse.

Dalle direttive ministeriali si evince chiaramente come le Università Pubbliche  diventino fortemente dipendenti dalla loro capacità di attrarre sponsorizzazioni (di solito provenienti da attori economici interessati al proprio tornaconto). Di conseguenza saranno capaci di sopravvivere solo quelle istituzioni e dipartimenti che sono considerati utili dagli sponsor e sottoposti alle leggi del mercato;  le forze che spingono verso la commercializzazione dell'istruzione, proprio come ogni altro aspetto della vita, sono scatenate dalla competizione globale con l'aggravante che  l'istruzione pubblica in Italia viene vista come controproducente e quindi in definitiva disincentivata e sistematicamente demolita.

Anche la ricerca subisce un duro colpo: si introduce il tenure-track ovvero il limite massimo di 6 anni (3+3) all'attività dei ricercatori  che dopo questo periodo dovranno essere assunti come professori associati (cosa davvero improbabile in una realtà continuamente sottoposta a tagli) o saranno costretti ad abbandonare definitivamente la carriera accademica.
Si tratta oltretutto di una contraddizione in termini: da  un lato ci viene imposto di razionalizzare la spesa, dall'altro si lascia che un investimento in capitale umano vada perduto.

La precarietà che stiamo vivendo come studenti è più drammatica di quanto si pensi: i tagli indiscriminati al sistema dell'istruzione (nello specifico la riduzione coatta dei corsi di studio mentre vengono mantenute le cattedre dei "baroni" anche quando già presenti come insegnamento) rendono precaria la formazione  mentre l'offerta formativa - poco differenziata - comporta pochi margini di specializzazione: nello specifico la riforma ha comportato l'eliminazione dei molte materie tenute da insegnanti a contratto - in cui spesso si fondeva didattica e ricerca - mentre le materie tenute dagli ordinari avranno peso maggiore portando a curricula rigidi e di fatto alla  fine dell'autonomia nella decisione del proprio percorso di studi.

La menomazione della ricerca d'altro canto limita le già esigue possibilità occupazionali post-laurea, riducendo il titolo di studio ad un semplice pezzo di carta per il quale si sono spesi tempo e soldi con la sola prospettiva di metterlo da parte e far altro.
L'Ateneo della Tuscia, contrariamente a quanto pubblicizzato massicciamente in questi mesi non naviga di certo in acque tranquille: nonostante l'introduzione dei privati con la riforma della governance, fattore che secondo il magnifico ha portato ad ottimi risultati, una recentissima lista stilata dal Miur e riguardante il recepimento delle direttive ministeriali da parte degli  Atenei, pone l'Università della Tuscia al quarantasettesimo posto ben lontano dalla tanto decantata top ten!

Oltretutto il caro Magnifico non è certo un esempio di virtuosità: entra infatti all'undicesimo anno di governo, al quarto mandato, cambiando prima e sospendendo poi l'applicazione dello statuto d'Ateneo. Resta da chiarire dunque da chi bisogna guardarsi: dal governo che mina sistematicamente ogni diritto democratico, dall'opposizione che tenta di strumentalizzare per proteggere le proprie lobby o dai poteri forti che si spartiscono ora con gli uni ora con gli altri le fette del potere.

Nel quadro di questi interventi inoltre, anche la Regione Lazio non è da meno: con la delibera regionale del 2 ottobre 2009 l'Ente si impegna a corrispondere, nel triennio 2009/2011, 9 milioni di Euro alle istituzioni private; quest'aspetto è ancora più grave se lo si considera in un'ottica generale: di fronte alla continua dequalificazione dell'istruzione, di ridottissimi sbocchi occupazionali, di una aziendalizzazione dell'università pubblica, l'indirizzo è quello di incentivare il ricorso al privato accettando tacitamente l'idea che l'Università pubblica sia meno utile o formi di meno.

Il Movimento TusciainProtesta ha iniziato un percorso di coordinamento con le altre realtà universitarie a livello regionale e non solo al fine di creare una piattaforma di dialogo e di alternativa alla deriva della formazione statale.
Il sistema di istruzione pubblica, dall'asilo all'università, deve avere come priorità aspetti di emancipazione, deve essere libero e accessibile a tutti. Una reale democrazia esiste solo se la società è composta da individui emancipati e autodeterminati, che sono capaci di riflettere in modo critico sul loro contesto sociale, sugli sviluppi e le strutture del potere. Ogni sistema che non soddisfa questi criteri non è democratico.

TusciaInProtesta

- Uno Notizie Viterbo -

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