Shoah, Giornata della Memoria - Era il luglio del 1944 quando l’Armata rossa, marciando tra le rovine delle città polacche, liberò il primo campo di sterminio di Majdanek. Il Reich nazista aveva le ore contate, di li a pochi mesi l’incubo della guerra sarebbe finito. Il 30 aprile 1945 Adolf Hitler, rinchiuso nel suo bunker di Berlino, pur di non capitolare nelle mani dei russi, si tolse la vita insieme alla sua compagna Eva Braun e già da parecchio tempo prima, il Reichsfürer delle Ss Heydrich Himmler, aveva ordinato la sospensione delle attività nelle camere a gas e la cancellazione di tutte le tracce delle stragi ivi perpetrate. Le baracche furono incendiate, i cadaveri dati alle fiamme, i supersiti fatti evacuare.

Sei milioni di ebrei uccisi: è questa l’inquietante cifra figlia della pazzia utopistica di Hitler e di quanti misero in pratica il suo “credo”. Quando furono liberati i campi di concentramento il mondo intero constatò le aberrazioni commesse ai danni di tanti poveri innocenti, e non solo ebrei. Marchiate a fuoco come delle bestie senza alcuna speranza per il futuro, le vittime dell’olocausto restituiscono alla storia il triste e cinico numero di questo brutale abominio. Il progetto di Hitler di rendere tutto il mondo Judenfrei (libero dagli ebrei) partorì la Shoah, voce biblica che significa “catastrofe, disastro” e che racchiude in sé la genesi e lo sviluppo del genocidio.

Oggi, nella giornata della memoria, il mondo intero si sofferma nel ricordo delle vittime. Ricordare per non dimenticare una delle pagine più disumane che la storia abbia mai conosciuto è il monito che lo stesso PapaBenedetto XVI ha lanciato durante la visita alla Sinagoga di Roma lo scorso 17 gennaio. “Che le piaghe dell’antisemitismo siano sanate per sempre”: con questo accorato appello Papa Ratzinger si è rivolto al mondo per portare un messaggio di speranza e di fede, affinché sia intrapreso, nel segno della continuità, un cammino sulla via dell’amicizia, per riaffermare e rafforzare un dialogo tra ebrei e cristiani, due popoli storicamente divisi da equivoci, incomprensioni, e vecchi risentimenti. Ma nonostante l’impegno messo in campo dal Vaticano e l’unanime condanna delle istituzioni verso ogni forma di discriminazione antisemita, a dispetto di quanto la storia ci ha insegnato, sembra proprio che questo passato non voglia passare.

Ancora oggi, infatti, la parola ebreo viene usata come insulto negli stadi e sui muri delle nostre città. Ancora oggi si sente parlare di razzismo e discriminazione o di sionismo come sinonimo di razzismo. A questo punto, se proprio rimanesse possibile imparare una lezione dall’Olocausto, questa sarebbe che l’uomo è capace, datagliene la possibilità, di sconfinare nella barbarie più disumana, dimenticando che la comprensione e il rispetto per ogni uomo sono alla base della convivenza tra popoli, siano essi ebrei, musulmani, protestanti, cattolici, bianchi, neri o gialli. Straordinarie per loro semplicità ma cariche di un significato profondo sono le parole di Martin Niemoeller, un pastore evangelico rinchiuso nel campo di Dachau che intitola la sua poesia “Prima vennero per gli ebrei”. “Prima vennero per gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero per i comunisti, e io non dissi nulla perché non ero comunista. Poi vennero per i sindacalisti, e io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”. Ad ognuno la dovuta considerazione!  

Alessandra Sorge.







Uno Notizie - Roma -

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