Era stato il prof Marco Mancini, Rettore dell’Università della Tuscia ed anche segretario della conferenza nazionale dei Rettori a lanciare, all’inizio di giugno, un accorato allarme.

Il Governo, infatti, con le disposizioni contenute nel Decreto legge 112 del 12 giugno, approvato in appena nove minuti, aveva colpito pesantemente le Università con drastici tagli finanziari e con norme che di fatto le privatizzano, dando ipocritamente la “possibilità” di trasformarle in Fondazioni di diritto privato, in netto contrasto con la Costituzione, lì dove afferma il carattere pubblico dell’istruzione, anche dell’istruzine superiore. 

Non a caso il Rettore aveva parlato di possibile chiusura dell’Università della Tuscia.
Se non mi sono sfuggite iniziative di un qualche rilievo - eventualmente mi scuso per la mia disinformazione - quell’autorevole allarme è caduto nel…vuoto. E’ un fatto grave.
Ora il 24 luglio solo alcuni giornali hanno pubblicato un appello sottoscritto da centinaia di illustri professori universitari, tra i quali Girolamo Arnaldi, già presidente del Comitato Tecnico Amministrativo dell’Ateneo della Tuscia con il compito di metterla in piedi. Non a caso al Prof Arnaldi è stata conferita dall’ex Sindaco Rosati la cittadinanza onoraria.
Nel documento,tra l’altro, si afferma: "Da un lato sono discriminate quelle sedi che, impossibilitate a trasformrsi in Fondazioni di diritto privato, andrebbero a configurare, in un sitema a doppio livello di qualità, sedi di serie B; da un lato anche le sedi maggiori e potenzialmente trasformabili in Fondazioni verrebbero discriminate in ragione delle diversità strutturali delle zone in cui operano: zone ricche e zone povere. Infine una odiosa discriminazione riguarderebbe i giovani a seconda delle loro condizioni economiche e sociali”.

In altre parole, denuncia sempre il documento, “viene ipotizzata una effettiva spaccatura del Paese nella ottusa previsione di una costellazione di sedi capace di realizzare un sottosistema di”isole felici”, intorno alle quali… vivacchierebbero le sedi di serie B”.
Una denuncia chiara e consapevole quella dei docenti.
L’Università della Tuscia, proprio perché opera in un territorio relativamente povero, non troverebbe mai le risorse finanziare (dove sono i Mecenate o gli industriali illuminati?) per trasformarsi in una Fondazione privata ed allora, nelle migliori delle ipotesi, sarebbe destinata ad essere un ateneo di serie B, dove gli studenti, in ogni caso, pagherebbero tasse elevate. Non sarebbe questo l’inizio di una lunga agonia che porterebbe alla sua chiusura, come paventava il Rettore?
Di fronte ad una simile prospettiva non si può rimanere in silenzio. A quanti hanno creduto  in una Università a Viterbo spetta il compito di reagire.
Il Consiglio provinciale e Palazzo dei Priori devono scendere in campo e prendere posizione.
Si potrebbe, poi, pensare ad una raccolta di firme-è un semplice suggerimento-da avviare prima possibile, a sostegno di un documento, possibilmente unitario, dal titolo:”Salviamo l’Università della Tuscia”.Il problema, come dovrebbe essere chiaro, riguarda tutti:ne va del futuro dell’Università, ma nche della Città.

ORESTE MASSOLO
Già componente del Comitato Tecnico Amministrativo dell’Università della Tuscia

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