Etruschi, archeologia, ultime notizie Vulci -
Oggi si fa un gran parlare delle conseguenze che hanno causato la decadenza e la fine della grande città etrusca di Vulci. Varie sono le ipotesi, fra queste, la più accreditata, forse, è quella che il territorio circostante divenne malsano a causa della malaria; altre ipotesi mettono in risalto le enormi devastazioni operate dai Romani per conquistare la città; altre ipotesi sono ricercabili nelle varie e ripetute invasioni dei popoli europei e asiatici, e quella dei Longobardi. Ma la ragione più probabile la dobbiamo ricercare altrove.

Faccio un passo indietro. Nel 1975 circa, visitai per la prima volta il ‘museino’, già allora sistemato nell’antico Castello dell’Abbadia (o Abbazia) di Vulci. Il ‘museino’ non ha mai cambiato sede né destinazione. Proprio in quell’anno, nel 1975, il museo fu inaugurato, e, come ho già detto, fu realizzato con lo scopo preciso di collocarvi i tesori artistici e storici etruschi, che ogni giorno il pianoro di Vulci “vomitava” per varie ragioni: scavi della Soprintendenza, scavi clandestini (tombaroli) e anche ritrovamenti fortuiti.

Successivamente il ‘museino di allora’, ‘disegnato’ quasi per ospitare un deposito di attrezzi e di reperti sequestrati ai tombaroli, è diventato Museo Nazionale, che per l’importanza e l’abbondanza dei ‘tesori’ ivi custoditi, non poteva essere altrimenti. E la sede non poteva essere più prestigiosa di quella attuale che poi è quella di sempre: il famoso e bellissimo castello della Badia di Vulci. Questa costruzione fortificata risale al sec. IX e fu eretta proprio a guardia di un famosissimo ponte, ancora più blasonato del castello, in quanto molto più antico.

Il ponte originario etrusco non doveva essere arcuato, bensì  lineare, in legno e  poggiare su pilastri di pietra ai due lati del fiume; allo scopo di poterlo abbattere o bruciare in caso di aggressione armata, e quindi isolare il nemico (Romani soprattutto) che manifestavano sempre di più lo loro mire espansionistiche, di saccheggio e di ruberie nei confronti degli Etruschi. Il ponte fu ricostruito in epoca etrusco-romana, probabilmente nel III secolo a.C. in forma arcuata, a tutto tondo, secondo la tecnica costruttiva dei romani,  e non più in legno ma in muratura.  
Bisogna riconoscere ai Romani i loro veri pregi che erano notevoli; fra questi l’architettura che si avvaleva di architetti qualificatissimi, e, in questo campo la civiltà Romana ha raggiunto livelli, talvolta inarrivabili per grandiosità e bellezza. Fu forse questa loro capacità urbanistica e costruttiva, insieme all’arte (*) di fare la guerra, a fare grandi i Romani.

La ‘gettata’ del ponte dell’Abbadia, era forse qualcosa di impensabile per gli Etruschi (che pur avevano una capacità sviluppatissima in  altri settori: come la ceramica, l’estrazione e lavorazione dei metalli, le conoscenze astronomiche, religiose, la padronanza nel costruire i mezzi di navigazione ecc.) che non conoscevano l’arco a tutto tondo (ripreso poi abbondantemente nel periodo fiorentino del Rinascimento), ma solamente il ‘falso’ (**) arco e la falsa cupola, che erano anch’essi assai geniali. L’architettura degli etruschi, almeno nella fase più antica, era rivolta in particolar modo alla realizzazione di tombe monumentali, notevoli fra queste le tombe della Montagnola e della Mula a Firenze (Quinto - Comune di Sesto Fiorentino). I Romani invece, avevano un concetto di architettura più finalizzata all’urbanistica, alla creazione di grandi templi, di anfiteatri, di strade consolari (spesso costruite su tracciati etruschi), di palazzi e ville principesche. C’è uno stretto legame fra la mentalità dei Romani e quella attuale degli americani. Ma qui ci sarebbe da dilungarsi troppo e quindi ritorniamo all’argomento della nostra ricerca.

Il ponte costruito dai Romani, con arco a ‘tutto tondo’ era talmente ardito, per gli Etruschi ‘romanizzati’, tanto da chiamarlo ‘arco del diavolo’; e tale appellativo è rimasto anche in epoca altomedievale e medievale. Basti pensare che l’altezza dal centro dell’arco al fiume sottostante è di circa 30 metri. Un’opera davvero impensabile per gli Etruschi di quei tempi, che non potevano esprimere al meglio le loro capacità, poiché colonizzati dagli invasori romani.
Con il tempo la città di Vulci e i vulcenti si erano  conformati e ‘fusi’ con i nuovi ‘padroni’ romani, e, pur mantenendo una certa autonomia, avevano accettato, volenti o nolenti, questo modo di vivere, tanto diverso dal loro. I Romani, qui a Vulci, non si avvalevano solo della “frusta” (erano anche molto furbi e diplomatici), ma anche della “carota”. Gli Etruschi si erano ormai assuefatti a questo dominio romano, e ne avevano recepito le qualità migliori, e, purtroppo, come succede per tutti i popoli ‘vinti’, anche quelle peggiori (rilassatezza nei costumi, accettazione di una religione romana ‘di comodo’, fondata soprattutto sulla ricchezza e sul danaro). Sulle ceneri ancora fumanti della grande città etrusca Vulci fu possibile al generale conquistatore romano, certo Coruncanio, di costruirsi una lussuosa villa, dove negli scantinati della stessa venivano praticati segretamente riti settari di religioni miste indiane e medio-orientali.

Queste città romane e romanizzate subirono talmente la decadenza civile e morale, che già era iniziata a Roma, specialmente nei secc. III-II a.C. ed era diventata inarginabile nel I sec. a.C.  Seneca, nei suoi libri  “Lettere a Lucilio” ci fa una descrizione della società romana del suo tempo, sotto il governo dell’imperatore Nerone. È allucinante leggere le pagine di questo filosofo. Nel Colosseo venivano, ai suoi tempi, uccise migliaia di persone ogni giorno “per divertimento” del popolino. Mi fermo qui.  
Questa decadenza dei costumi e della moralità favorì la “cristianizzazione” da una parte; e, purtroppo anche la discesa in massa  delle popolazioni dal Nord Europa, per colonizzare l’Italia “Romana”, caduta nell’abisso dell’immoralità, dell’illiceità e via dicendo. Questi popoli ‘selvatici’ e violenti: Unni, Vandali, Celti Longobardi, ecc, furono una vera catastrofe per l’Italia; e i Longobardi in particolar modo, vennero descritti dalla Chiesa Romana di allora come: “la razza da non da annoverare fra le razze umane, ma a quella delle bestie”. (E oggi ci riempiamo la bocca parlando di ‘europeismo’!) Quello fu davvero un periodo triste per la nostra Italia! Ma quando il male è voluto, dobbiamo solo fare il ‘mea culpa’.

Tornando al ponte di Vulci, a me sembra di poter dire, con una certa esattezza, essendomi io soffermato a lungo per esaminarlo e studiarlo in ogni minimo particolare, che nel ponte si notano con chiarezza due fasi ben distinte della vita del ponte;  punto nevralgico, sul quale passava una strada etrusca di grande importanza e collegava la città di Vulci con le altre città dell’entroterra maremmano. Come mostra questo disegno il ponte fu con molta probabilità, demolito per ragioni belliche, in epoca imprecisata, forse prima nel VI-VII secolo d.C. Il ponte etrusco-romano fu danneggiato nella parte superiore dell’arco, creando uno spacco fra le due semi-arcate rimaste in piedi. In epoca altomedievale, forse IX sec. d.C. l’arcata del ponte è stata trasformata da arco a tutto tondo ad arco a “schiena d’asino”, prolungando ad ogiva le due semi-volte del ponte rimasto in piedi. Probabilmente, in epoca post-medievale l’arcata del ponte fu ripristinata con l’arco tutto tondo.
Secondo una mia teoria, tutta da verificare, fu appunto nel periodo VI-VII d.C. che mancando adeguate vie di comunicazione e con il ponte pericolante o distrutto, con la popolazione dissanguata dalla colonizzazione romana e dalle continue guerre (nonostante che la città di Vulci fosse rifiorita in età cristiana), i ‘vulcenti’ se ne erano andati da Vulci; proprio come dice il proverbio toscano: “La stalla è stata chiusa quando i buoi sono già fuggiti”.

(*) Purtroppo nella storia si usa questo paradosso per indicare coloro (sempre di estrazione sociale elevata) ai quali spettata il diritto-dovere di comandare le ostilità. (Andare ad oste nel medioevo significava appunto andare alla guerra)
(**) Questa definizione di ‘falso arco’, ‘falsa cupola’, per me è del tutto arbitraria e insignificante. Se nel Rinascimento il grande architetto Brunelleschi costruì la Cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, lo dobbiamo appunto a questi ‘falsi archi’ e ‘false cupole’. Chi ancora non ha visto la Tomba della Montagnola a Firenze, la cui ‘pseudo cupola’ è un capolavoro di architettura e di ingegneria, non può rendersene conto, ed è stata fatta sette secoli avanti Cristo. (Questa la datazione ‘ufficiale’ ma essa potrebbe essere anche molto più antica).


Paolo campidori (Copyright)
paolo.campidori@tin.it
www.paolocampidori.eu



Commenti

Ringrazio Unonotizie per avermi dato questa bella occasione di aver pubblicato un mio articolo. Spero che sia di buon auspicio per una reciproca futura collaborazione. Paolo campidori Fiesole 14 novembre 2010
commento inviato il 14/11/2010 alle 1:39 da paolo campidori  
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