Le parole di Antonello Ricci, le sue dichiarazioni in merito alla vicenda dell’Arcionello, meritano una riflessione e un approfondimento, per sgombrare il campo da illazioni e fornire dettagli importanti e comprendere meglio il significato e la storia di una delle vicende più significative degli ultimi decenni. Condivisibili le sue parole e sostanzialmente esatta la ricostruzione dei fatti, intellettualmente onesta: avendo condiviso con Antonello gli ultimi 5 anni di lavoro non mi aspettavo nulla di diverso.
Il piano integrato venne presentato, all’inizio, come strumento di riqualificazione, ovvero di risanamento, in un’area che da verde attrezzato (quindi destinato a servizi per i cittadini) veniva riclassificata come edificabile. Una prima evidente e strumentale forzatura.
Quando è stata avanzata l’ipotesi di proporre un parco – oltre 4 anni addietro - ovvero una area protetta regionale, il Comitato Salviamo l’Arcionello non si poneva obiettivi particolari oltre quello di far pressione sull’opinione pubblica e sull’amministrazione comunale affinché l’evidenza di un patrimonio in pericolo limitasse i danni del Piano integrato. In ogni momento della vicenda, nel Comitato, non è mai venuto meno il senso di responsabilità nei confronti della città e delle istituzioni, consapevoli che non si poteva costruire un progetto come quello dell’area protetta “contro qualcuno”, ma solo attraverso il pieno coinvolgimento di quanti si fossero resi disponibili.
Poi la riduzione dell’edificato. Prima e più che il “metodo Arcionello”, a far dimagrire il Piano di Andreoli e Cesarini, sponsorizzato dalla giunta Gabbianelli, è stata l’esistenza di vincoli paesaggistici sul fosso a eliminare le palazzine su via Belluno e dentro la cava Anselmi, rendendo ancora più evidente - con la impossibilità di intervenire sulla ex cava degradata – l’improprio ricorso a quello strumento urbanistico. Per le palazzine rimase solo l’area di Pian di Cecciole a raccogliere – compattandoli - i rimanenti 120.000 mc.
A questo punto – con l’iter regionale dell’area protetta avviato - nasce il confronto, aspro ma costruttivo, in seno al Comitato tra quanti volevano raggiungere il massimo del consenso con il Comune di Viterbo – cedendo il passo su Pian di Cecciole - considerandolo un atto di buon senso e responsabilità, e altri che invece temevano ancora l’atteggiamento degli amministratori che avevano disatteso sistematicamente ogni possibile sinergia e collaborazione. Nella valle dell’Arcionello infatti si continuavano a rilasciare licenze edilizie, continuavano gli abusi senza controllo e la indagine sulla distruzione della cartiera del 600 – promessa da Gabbianelli - era stata insabbiata. Un atteggiamento che non poteva essere considerato collaborativo.
Ed è infatti sulla base di questa evidenza, e solo dopo la pubblicazione dell’avviso pubblico per l’invio delle osservazioni alla proposta di Riserva Regionale (14 febbraio 2008), che Legambiente ha deciso di presentarne una sull’inserimento di Pian di Cecciole nel perimetro. Senza la necessaria programmazione e senza la garanzia che il comune di Viterbo intendesse davvero realizzare l’area protetta, non rimaneva che
Poi gli ultimi avvenimenti: la incapacità dell’amministrazione di riconoscere i propri errori e la sensazione che qualcuno voglia trasformare questa vicenda in occasione di scontro politico.
Sarebbe un peccato. Occorre costruire un percorso di condivisione nuovo, che veda protagonista l’Amministrazione comunale, ma senza ostruzionismi o rancori. E’ una occasione unica di lavorare insieme, cittadini, associazioni ed istituzioni: e ne abbiamo tutti bisogno.
Umberto Cinalli
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