TUSCIA - VITERBO- (UNONOTIZIE.IT)  I movimenti femministi degli anni ’60 contribuirono alla nascita in Nord America di studi riguardanti la posizione sociale della donna. Lo sviluppo di queste ricerche, estese sempre più ad altri campi come la storia dell’arte, la letteratura, il teatro e quindi anche il cinema, ha reso possibile il formarsi della cosiddetta Feminist Film Theory,Teoria Femminista del Cinema. In questo ambito i primi scritti teorici si producono agli inizi degli anni ’70 con l’intento di criticare e cambiare il ruolo ricoperto dalle donne in quei film dove lo sguardo maschile ricopre una posizione predominante, quindi soprattutto nell’industria cinematografica hollywoodiana. Nel corso degli anni ’70 la rivista ''Screen'' fu la sede di indagini importanti che ponevano al centro dell’attenzione non soltanto l’immagine della donna ma l’intera questione della differenza sessuale, dei diversi ruoli dello spettatore e della spettatrice. L’emblema di questa nuova ricerca è rappresentato dal saggio di Laura Mulvey Visual pleasure and narrative cinema, pubblicato proprio su ''Screen'' nel 1975, in cui, per la prima volta, sulla base di studi psicanalitici si compie una critica del cinema patriarcale. L’autrice osserva come il cinema classico hollywoodiano sia basato su un regime maschile dello sguardo, dal quale la donna è tagliata fuori sia come narratrice sia come personaggio. Infatti, anche nelle vesti di personaggio, la donna è sempre guardata dall’uomo, è oggetto del suo sguardo e del suo desiderio, una semplice icona da contemplare ed esibita per il suo godimento, quindi un feticcio. Lo scopo del cinema femminista diventa allora quello di eliminare certe differenze sessuali, convenzionalmente stabilite, su cui poggiano le varie forme del piacereQueste, sostiene la Mulvey, sono in particolare la scopofilia, legata alla presenza di un oggetto come fonte di desiderio, e il narcisismo, legato alla presenza di un oggetto come fonte di identificazione. Entrambi nascono dalla visione, però, mentre il primo richiede una distanza tra lo spettatore e ciò che egli desidera, il secondo richiede al contrario una fusione con la realtà con cui egli si immedesima. Date le strutture del racconto cinematografico, la donna che si identifica con un personaggio femminile deve adottare una posizione passiva o masochista, mentre l’identificazione con l’eroe attivo implica necessariamente l’accettazione di una sorta di “maschilizzazione”. Freud, del resto, ha sempre riconosciuto l’aspetto enigmatico e indecifrabile della donna perché, nel processo di formazione della sua identità sessuale, intervengono tratti di mascolinità che poi vengono nel tempo cancellati. Perciò, mentre l’uomo è prigioniero della sua identità sessuale, la caratteristica peculiare della donna è una continua mobilità che la porta ad una specie di “travestimento”. La femminilità, cioè, viene indossata come fosse una maschera per celare la mascolinità ed evitare che questa venga scoperta. Il mascheramento è tipico del personaggio della donna fatale, considerata dagli uomini l’incarnazione del male, in quanto utilizza la propria sessualità per sovvertire e destabilizzare la struttura maschile dello sguardo. Nell’ambito del dibattito sulla spettatrice cinematografica, per concludere, merita di essere citato il caso di Rodolfo Valentino. Quando Hollywood costruì il mito di Valentino, per la prima volta vennero realizzati film esplicitamente indirizzati ad un pubblico femminile. Tra il 1921, anno de I quattro cavalieri dell’Apocalisse, e il 1926, anno della sua morte , Valentino ha interpretato 14 film tutti basati sullo scambio di sguardi tra lui ed i personaggi femminili. Ogni volta che Valentino posa gli occhi su una donna, possiamo essere sicuri che con lei instaurerà una relazione sentimentale, mentre, al contrario, le figure femminili sono sempre private dell’iniziativa dello sguardo erotico. Attraverso questo modello narrativo, che ruota intorno alla figura del latin lover, i film di Valentino favoriscono nello spettatore un’identificazione con lo sguardo stesso come elemento su cui si instaurano le relazioni tra uomo e donna, quindi, soprattutto, come tramite di piacere e desiderio.

Elisa Ignazzi

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