TARQUINIA - VITERBO (UnoNotizie.it)
Il 25 aprile 1945, in Tarquinia avvenne il 4 giugno 1944: quella mattina i tarquiniesi che, in attesa che “passasse il fronte della guerra”, si erano rifugiati nelle grotte sotto Porta Nuova (l’Alberata) e al Paparello (dietro l’attuale campo sportivo e nelle grotte oggi parzialmente occupate da Etruscopolis), all’alba vennero svegliati dallo sferragliare dei carri armati, da Civitavecchia e da Vetralla, in avvicinamento alla nostra città e all’Aurelia.
Gli Americani! Affacciati all’ingresso delle grotti vedemmo gli ultimi tedeschi, i guastatori che avevano fatto saltare i cannoni che avevano ritardato l’avanzata degli alleati, allontanarsi in bicicletta o sulle moto, poi, finalmente liberi, dietro a noi ragazzi la popolazione si riversò lungo il corso, appena in tempo per vedere la fanteria della 5ª Armata (sulla spalla avevano uno scudetto con la A grande sopra il n°5) entrare dalla “porta di piazza Cavour” e da “porta Romana”: soldati duri nell’espressione impauriti, carabine “Winchester” e moschetti “Garant” spianati in avanti che avanzavano su due file, di qua e di là dalla strada per occupare il paese e sgomberarlo da eventuali “nemici occupanti”.
La durezza di quel primo contatto aveva raffreddato i nostri entusiasmi ed il vociare della gente era sparito e con esso le grida “Paisà, cigarette, choccolate…” Era tutto silenzio quando, improvvisamente, l’ultimo repubblichino dal terrazzo del palazzo davanti alla chiesa del Suffragio, esplose quattro, cinque pistolettate.
Un bailamme, il ritorno della paura, l’intensa e sperequata sparatoria che ne seguì convinse tutti noi a scappare e rifugiarci nei portoni possibili: io con un gruppo di altri ragazzi mi rifugiai nel portone di Via del Corso Vittorio Emanuele al fianco della farmacia. Il fuoco di sbarramento di fucili e di mitraglie portarono subito a miti ragioni il pistolettaro che, preso per lo “sgorbattino” da alcuni volontari – che probabilmente lo conoscevano – si arrese e venne trascinato sulla strada. Poi, arrivarono le prime jeep e con esse ripresero le grida e la distribuzione da parte dei “paisà” di cioccolate, caramelle col buco, sigarette, caffè e aranciate liofilizzate, generi mangiarecci ed un pane così bianco che non si era mai veduto dalle nostre parti.
Una festa alla quale dettero sostegno e coraggio i militari italo-americani della VªArmata (Generale Clark) che si esprimevano con il gergo “bruccolino”, sicil-napoletano.
Il giorno dopo, un piansanese che abitava con la famiglia sulla Piazza Trento e Trieste, nei locali oggi occupati dal negozio “Amicizia”, interpellò mia madre per chiedermi, in prestito, poiché c’era l’opportunità di recuperare scarpe nuove, togliendoli ai morti americani. Ovviamente mia madre si rifiutò; ma io scoprii che nelle battaglie per conquistare l’Aurelia erano caduti molti soldati.
Quelli della mia età ricordano la distesa delle ordinate croci bianche del cimitero americano alla “Traversa” e quelle, a fianco, raffazzonate, dei caduti tedeschi. Oltre 500 morti americani (i tedeschi saranno stati circa 1/3) tutti giovani, tutti figli di genitori che ne aspettavano il ritorno e che invece avevano perduto la vita per liberare l’Italia, l’Europa e il Mondo dal mostro nazista.
Sul terreno già dei Costanesi, di tanta strage rimane un pozzo artesiano (il primo costruito a Tarquinia) che i genieri statunitensi realizzarono in tutta fretta per tenere verde e fiorito il piccolo cimitero; sullo stipite di sinistra della porta di Piazza Cavour un cerchio nero con una croce al centro e la scritta “off limit” per tenere lontani, così ci dissero, i soldati marocchini dell’Armé Français (stanziati nella piana di Marina Velka) è rimasto sino a pochi anni fa a ricordo di quel drammatico evento.
Correva l’anno 1944, la pianura imbiondiva, era iniziata la falciatura del grano…. Giovani figli giacevano morti dietro i primi “cordelli”.
Per noi però era festa, grande, allegra: era tornata la libertà.
Vasco Giovanni Palombini
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