La Tuscia, una zona tra le più meravigliose del nostro Paese, vede da qualche anno una vera e propria alluvione di cemento, in particolare attorno ai laghi, nella zona di Cerveteri, a Viterbo e sui Monti Cimini.

 

In un contesto ormai di lottizzazioni selvagge, qui la tipologia di "ecomostro" prende forme più diversificate e se vogliamo "sottili". Nella Tuscia, infatti, sono piuttosto rari gli episodi di scheletri cementizi fortememente impattanti, fatta eccezione per il gigantesco scheletro nei pressi dell'altrettanto ciclopico (e assai discutibile sotto il profilo architettonico ed urbanistico vista la sua collocazione collinare) Ospedale di Bel Colle, e per i vari piccoli ma insolenti episodi di abusivismo nei dintorni dei paesi più piccoli, isolati e meno conosciuti e per questo meno controllati (vedi Blera, Barbarano, Capranica, ...) e soprattutto di quelli più vicini a Roma, ove si sta consumando un vero e proprio disastro paesaggistico-ambientale nel silenzio di tutti: sulla strada Furbara-Sasso, nel Comune di Cerveteri, si "ammirano" decine e decine di cantieri abusivi sorti in posizione panoramica sullo spettacolare scenario delle due rupi del Monte Sassone; ad Oriolo Romano nascono come funghi demenziali ville di campagna che si spingono in modo inquietante nell'entroterra tolfetano; fra Sutri e Nepi, ormai si può parlare di "villettopoli", con centri residenziali e campi da golf; intorno a Monterosi, infine, il territorio ormai inizia ad assumere le fattezze di una periferia disgustosa; in questi casi l'alluvione cementizia è quasi sempre assolutamente legale, con i comuni che svendono il proprio territorio (spesso praticamente intatto) a mediocri e volgari progetti speculativi, concernenti sia singole abitazioni sia veri e propri complessi residenziali.

 

Nella Tuscia, insomma, gli ecomostri nel senso classico del termine, ossia come "edificio altamente deturpante sito in un paesaggio integro", dobbiamo andarli a cercare sotto una forma diversa: sotto la forma, come già detto, delle villettopoli, oppure, per esempio, dei tanti, troppi capannoni industriali gettati qua e là senza senno e pianificazione alcuna nelle campagne, isolati in contesti ambientali e paesaggistici di eccezionale pregio; se ne contano a centinaia, e spesso raggruppati in ridicoli e minuscoli insediamenti produttivi, come "cattedrali (se così si possono definire) nel deserto", isolati, abbandonati a sé stessi (o vuoti, cioè "abbandonati" nel vero senso della parola!), mal collegati e senza servizi, conseguenza dell'assurda ed irrazionale pretesa di ogni comune di avere la propria zona artigianale ed industriale, magari a 5 km (o anche meno) da quella del paese vicino...

 

In una regione talmente ricca di bellezze storiche, archeologiche e paesaggistiche come la Tuscia, questo fenomeno costituisce davvero uno sfregio intollerabile, soprattutto se pensiamo che tali agglomerati o singole strutture sorgono molto spesso nelle immediate vicinanze di siti archeologici o ambientali straordinari, caratterizzandone magari l'accesso stradale (un caso eloquente è il nuovo insediamento di grossi capannoni che spicca, tristemente in primavera tra i vasti campi di papaveri, nei pressi dell'incrocio per Ferento)... Per non parlare di quella che è ormai diventata la Via Cassia fra Viterbo e Montefiascone, ove è tutto un susseguirsi di capannoni sparsi (in un paio di casi addirittura allo stato di scheletro abbandonato) frammisti a campi coltivati, con la recente aggiunta - come se non bastasse - di una grossa e demenziale pista da go-kart.

 

Strutture, lo ripetiamo, non razionalmente raggruppate in insediamenti ben delimitati, ma sparse a caso, a ripetizione, quasi a sfregio di un paesaggio fino a pochi anni fa di notevole bellezza. Così, la Cassia fra Viterbo e Montefiascone, che è il naturale accesso da Sud ad una delle attrattive turistiche principali della Provincia, il Lago di Bolsena, oggi offre, purtroppo, scorci da "paesaggio camorristico" alla Casal di Principe o da borgata romana, tant'è che spesso non si ha più nemmeno la sensazione di attraversare la Tuscia! E, sempre riguardo alla distruzione del paesaggio sulla Via Cassia (e non solo), gli esempi da fare sarebbero ancora molti.

Certamente, il proliferare indiscriminato di capannoni (paradossalmente, molto spesso ospitanti attività agricole o ad esse strettamente collegate!) dalle fattezze assolutamente incompatibili con la bellezza del paesaggio circostante non sarà un buon biglietto da visita per il turismo della Tuscia: ma gli amministratori locali (spesso culturalmente troppo impreparati a gestire un patrimonio così importante come quello della Tuscia) stentano ad accorgersene, ed anzi fervono dappertutto i progetti per nuove aree produttive, mentre quella di Viterbo, il "Poggino" (su cui invece si dovrebbe puntare per la sua posizione strategica) giace nel degrado delle sue strade piene di buche! Che vergogna! E' indiscutibile che dinnanzi agli episodi più gravi di questo tipo è ormai lecito parlare di veri e propri "ecomostri".

 

Non è  lecito dunque pensare ad una sorta di "rientro dall'errore" (di cui già si parlò ampiamente per il caso-Monticchiello, in Valdorcia) che porti ad un dislocamento di queste strutture, laddove palesemente incongrue, o quanto meno all'ammorbidimento del loro impatto paesaggistico?

 

Non è lecito pensare ad una necessità impellente di tutelare il paesaggio in un'area, quella della Tuscia Romana e Viterbese, che punta ad essere il maggiore attrattore turistico del Lazio e ad ampliare la lista dei siti Unesco? Quanti anni dovremo attendere per vedere nel nostro paesaggio il riflesso di una società più seria e civile?

 

Intanto il territorio della Tuscia Romana e Viterbese e quello italiano in genere subiscono (tra residence, alberghi, ville, villette e capannoni) un'aggressione costante ed indiscriminata di nuovi ecomostri, ecomostriciattoli o presunti tali. Si rende palese, quindi, la necessità di modifiche nella legislazione attuale (evidentemente inefficace) che portino sia ad una pianificazione intercomunale delle forme e della localizzazione degli insediamenti produttivi, sia ad un immediato snellimento e ad una velocizzazione nelle pratiche di demolizioni di manufatti abusivi, pratiche che non possono attendere, in quanto concernenti reati che ledono gli interessi di un'intera collettività e le potenzialità di sviluppo turistico del territorio.

 

 

L. Bellincioni

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