VITERBO, QUANDO IL DISAGIO UCCIDE: Cristian De Cupis, l'ultima morte in carcere.
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La problematica legata al complesso mondo carcerario si riaccende in tutta la sua crudità alla luce degli ultimi fatti di cronaca, un giovane agli arresti deceduto presso il reparto di medicina protetta dell’Ospedale Belcolle per cause che sono oggetto di indagini da parte della magistratura. Le parole “emergenza” e “sovraffollamento” sono ormai sinonimo di carcere. Negli ultimi anni il governo ha varato diversi Piani carceri, che prevedevano la costruzione di nuovi istituti penitenziari, mai iniziati, e di fatto la situazione penitenziaria sta raggiungendo velocemente il collasso.
Al 30 settembre 2011 i detenuti erano 67. 428 a fronte di una capienza regolamentare di 45. 817, tra di loro, gli stranieri sono 24. 401, e soltanto 37. 213 sono le persone con una sentenza passata in giudicato. L'affollamento carcerario vede l’Italia agli ultimi posti in Europa. Questa situazione è principalmente dovuta ad un  sistema giudiziario molto lento per un eccessivo uso dello strumento della custodia cautelare per gli imputati e soprattutto per colpa di leggi quale la “Fini-Giovanardi” sulle droghe che, come spiega il presidente di Antigone, fanno entrare in carcere persone pericolose soltanto verso se stesse e che andrebbero invece recuperate in strutture idonee. Circa il 37 per cento dei carcerati ha violato questa legge in Italia mentre la media europea per reati simili è solo del 15-18 per cento.

Se si aggiunge la ex Cirielli sulla recidiva, di fatto vengono esclusi molti condannati dalla possibilità delle misure alternative alla detenzione, che nel resto d’Europa rimane la modalità principale di scontare una pena.
Basti pensare che nel 2009 in Italia le persone che avevano fruito di tali misure erano soltanto 13.000 contro le 139.000 in Francia.
In carcere la dignità non esiste più. Nell’istituto di Viterbo ci sono circa 730 detenuti di cui molti ad alta e massima sorveglianza a fronte di una capienza di circa 450 posti. A San Vittore sono detenute 1.635 persone contro una capienza di 712, a Poggioreale si fanno i turni anche per stare in piedi.

In cella si muore: 154 decessi dal primo gennaio al 25 ottobre, di cui 53 suicidi. Non ci sono diritti neanche per i bambini: nel penitenziario romano di Rebibbia 24 minori di tre anni vivono con le loro mamme (il nido ne potrebbe ospitare soltanto 19). Ma la notizia più grave è che non ci sono più soldi. Nel 2010, le direzioni degli istituti hanno denunciato un'esposizione finanziaria di 120 milioni di euro nei confronti dei fornitori dei servizi essenziali. Il risultato è che i detenuti rimangono pure senza riscaldamento. Solo il 20 per cento della popolazione carceraria lavora e i fondi per gli incentivi alle assunzioni da parte di cooperative sociali ed imprese sono finiti. La polizia ha una carenza di organico di 6 mila unità, gli operatori del trattamento (educatori e assistenti sociali) sono così pochi da rendere spesso vano il loro grande e responsabile impegno con i detenuti.

Lo stesso sindacato dei Direttori penitenziari ha lanciato l’allarme, nei mesi scorsi, con un comunicato nel quale emerge l’indignazione per le condizioni in cui sono costretti ad operare e dicono a chiare note che “non vogliono rendersi complici di un sistema di illegalità e che negli istituti penitenziari vi è un abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona”.

Una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo, arrendendosi all'obiettiva constatazione della complessità del problema e della lunghezza dei tempi necessari per l'apprestamento di soluzioni strutturali e gestionali idonee.
C'è un'emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. Si sottolinea infine la prepotente urgenza della questione giustizia e carcere, e l'incapacità della politica di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise, scelte che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi.

Per ricostruire una logica penitenziaria che non sia solo quella della punizione e della deprivazione, per restituire alla pena il suo valore rieducativo, per abbattere il rischio di suicidi di persone detenute così di operatori penitenziari, si dovrebbero recuperare subito risorse economiche per destinarle al sistema penitenziario, al rafforzamento dei suoi organici, dei ruoli tecnici e delle aree educative, del personale della polizia penitenziaria. Questo appare altrettanto importante se non più qualificante della sola costruzione di nuovi istituti penitenziari.
Sarà inoltre necessario prevedere un piano integrato delle politiche sociali e delle risorse del privato presenti sul territorio affinché la pena riacquisti il suo primario senso di restituzione e non mera “pena”, incrementando anche quelle che sono le misure alternative alla detenzione e le altre sanzioni di tipo risarcitorio, garantendo un reale ed effettivo reinserimento sociale da parte dei condannati, rafforzando il senso di sicurezza della comunità.


Dr.ssa Teresa Mariotti
esperta per le problematiche sociali
IdV Viterbo

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