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L’Italia è densa di Storia, d’arte e di bellezze naturali, come estensione però è un piccolo Stato, con i suoi 301 mila chilometri quadrati. Ed ha una capitale che è situata al centro esatto del suo territorio, e perciò facilmente raggiungibile da tutti i punti della Penisola in poche ore. Che bisogno c’era di spezzettarla in tanti sotto-Stati, le cosiddette “Regioni” che mai sono stati davvero nel cuore e nella Storia degli Italiani, che sono sempre stati più municipalisti che regionalisti? Senza contare che le nostre regioni non corrispondono neanche a precise realtà geografiche o storiche.


L’Italia è piccolissima e le conseguenze dell'ego campanilista, le devastazioni fatte a livello regionale si sommano ai deficit, alle spese pazze, alla corruzione, e via dicendo...

L’Italia continuando in questo modo rischia. Ogni regione spende senza limiti come uno Stato sovrano. Ed è proprio attraverso la “statizzazione” delle regioni che un ipotetico federalismo prossimo venturo potrebbe fare, ed ha già fatto, ulteriori gravi danni separando ancora di più gli Italiani tra loro e distruggendo l’Italia, già piccolissima di per sé, come Stato.

Senza contare che le scelte della piccola e poco rilevante Italia in politica o commercio internazionale potrebbero essere ancor più ridotte. Addirittura contraddette o vanificate dalle scelte particolari delle singole regioni. Senza contare gli sprechi enormi, pensiamo solo ai deficit regionali nella sanità e nell’ambiente, alle assurde rappresentanze a Roma o addirittura all’estero.

Insomma, spese pazze, clientele, inefficienza per tutte le regioni italiane, e ancor più per quelle privilegiate come le regioni a statuto speciale. E ormai il virus parassitario dello strombazzato “regionalismo federale su base etnica” si è diffuso dal nord al sud, portando ulteriori divisioni e danni al contesto sociale ed all’identità nazionale spesso e volentieri.

Dal punto di vista della comunità, i cittadini si riconoscono più facilmente nella identità bioregionale, provinciale e comunale, raramente nella regione. Il motivo è ovvio, la storia e la cultura in Italia hanno sempre privilegiato le comunità ristrette a partire dai Comuni sino all’ambito in cui un Comune solitamente si irradia ovvero la Provincia. Al contrario le Regioni sono state create a tavolino subito appresso l’unità d’Italia e molto spesso non rispecchiano gli ambiti di appartenenza culturale e geografica che questi territori ebbero in passato, ed il passato è presente… non è qualcosa che sparisce.

Prendiamo l’esempio della Regione Lazio, riaggiustata durante il fascismo, togliendo all’Umbria (Rieti), togliendo alla Tuscia (alta Tuscia passata all’Umbria, Orvieto), togliendo al Regno delle Due Sicilie (Formia, etc.), riaggiustando il Frosinate ed altro ancora.

Inoltre il Lazio, come ogni altra regione, nel suo governo è partigiana, ovvero cura gli interessi “democratici” degli abitanti della sola Roma, le scelte sono sempre a favore degli interessi della città. Ad esempio Roma raggruppa in sé i 4/5 degli abitanti del Lazio, il che significa che tutte le scelte amministrative regionali tendono a soddisfare gli interessi di Roma.

Conseguenza di ciò, il territorio delle Province storiche del Lazio è negletto ed utilizzato esclusivamente per ubicarvi gli scomodi servizi della città. Il territorio delle Province diviene spesso come una colonia rispetto alla madrepatria.

In tal modo la grande Roma non riuscirà mai ad adattarsi al territorio osmoticamente ma continuerà a gettarvi i suoi rifiuti, a creare strutture inquinanti, a mantenere sottosviluppate e mal collegate le componenti territoriali circostanti.

Quanto detto per il Lazio vale, ovviamente anche per tutte le altre Regioni: Lombardia, Campania, etc. ove risiedono grandi agglomerati urbani.


Tra l’altro, a livello di responsabilizzazione e di identità sarebbe necessario che ogni area metropolitana fosse riconosciuta come “bioregione metropolitana” comprendendo ad esempio per Roma, la città e la banlieu sino ad incorporare una parte della attuale Provincia di Roma, non tutta ovviamente poiché sappiamo bene che la Provincia di Roma è stata ingrandita smisuratamente durante il fascismo rubando territorio alla Sabina, alla Tuscia, all’Agro Pontino e alla Ciociaria, con l’evidente scopo di “servire” ai bisogni di “grandeur” dell’Urbe.

Quel che vale per Roma vale anche per tutte le altre aree metropolitane: Milano, Napoli, Torino, etc. che debbono essere autonome dal punto di vista amministrativo e gestionale.

Visto che l’Europa sta diventando sempre più una realtà politica oltre che amministrativa è sicuramente più logico studiare degli ambiti territoriali che rispecchino un’identità “bioregionale” e questi ambiti possono essere rappresentati esclusivamente dalle Province o al massimo da agglomerati uniformi (come ad esempio la Tuscia con Viterbo, Civitavecchia ed Orvieto).

Quindi andrebbero rivisti sia i confini che le competenze delle Province, e non eliminate o accorpate senza costrutto identitario.

L’ambito bioregionale comunale e provinciale in cui la comunità può rispecchiarsi è una base aggregativa sociale ed amministrativa del territorio. Allo stesso tempo andrebbero eliminate le Regioni, carrozzoni inutili e fuorvianti dal punto di vista dell’integrità ecologica, geografica e storica.

Sono le regioni a farci perdere più soldi e a fare i danni maggiori. Oggi hanno tutto in mano: dalla sanità all’ambiente. E infatti il marcio è lì, non nelle Province.

Insomma abbiamo di fronte 2 enti locali, il primo -la Regione- “politicamente utile” ma corrotto, anzi fonte di corruzione per l’intera vita politica e sociale. Il secondo -la Provincia-, attualmente definito inutile che “non” è fonte di corruzione, e comunque sarebbe un Ente che ristrutturato su base di omogeneità ambientale e sociale potrebbe dimostrarsi molto più vicino ai reali bisogni dei cittadini e dell’ambiente. Le scelte politiche dall'alto però sacrificano spesso la necessità gestionali da parte dei cittadini, questo è un ricorso storico delle politiche accentratorie.

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