PASTENA - FROSINONE (UnoNotizie.it)

Se dovessimo  guardare cinicamente  la  realtà potremmo con amarezza e sconforto affermare  la morte del giudice Borsellino avvenuta il 19 luglio del 1992 sia stato un sacrificio inutile.
La lotta alla mafia ha portato negli anni successivi all’individuazione e all’arresto  di pericolosi latitanti e di inafferrabili boss, ma questo non è servito a ridare alla società  maggiore sicurezza e a diffondere nella cultura dominante i  valori della legalità e della giustizia sociale.

E’ di queste ultime ore la notizia che sarà  riaperto il processo per individuare i mandanti della strage di via d’Amelio, si tenterà ancora una volta di capire chi ha impedito in questi anni di accertare la verità e chi abbia trafugato dal luogo dell’attentato la famosa agenda rossa sulla quale il giudice Borsellino annotava minuziosamente,  dal  giorno della morte del collega Falcone,  tutti gli appuntamenti  e le notizie che riteneva utili per scoprire  le trame occulte della mafia palermitana.
Ma è evidente che il problema non interessa solo la Sicilia perché storicamente è documentata la vasta rete di relazioni che teneva insieme pezzi dello Stato e della criminalità organizzata, settori dell’imprenditoria e della finanza, personaggi della massoneria e della borghesia siciliana che spesso riuscivano  a colludere con i vertici ecclesiastici e con i rappresentanti delle varie amministrazioni  pubbliche.
Questo modello di sviluppo, questo sistema di acquisizione e di controllo del potere si è rafforzato in questi anni ed è stato persino esportato in altre Regioni dove con  nuove  ed efficaci alleanze locali riesce a controllare, appalti, attività commerciali e imprenditoriali il denaro proveniente dalle attività illecite.

Questi intrighi tra la mafia e la politica, tra mondo economico e malavita organizzata, questo sistema di potere che spesso attrae al loro interno anche componenti  importanti di quei servizi che invece dovrebbero lavorare per far rispettare le leggi, hanno rappresentato il contesto storico all’interno del quale è maturata la decisione di eliminare un giudice scomodo soltanto perché credeva nello Stato e nel rispetto del suo ordinamento istituzionale.
A distanza di 17 anni la memoria per il giudice Paolo Borsellino è sempre viva e idealmente saremo a Palermo dove in una grande manifestazione popolare, il fratello Salvatore Borsellino ricorderà a tutti, che nella società, e soprattutto nei giovani, c’è ancora un forte desiderio di affermare e difendere i principi della legalità e della democrazia anche a dispetto di uno Stato che ancora non ha il coraggio di smascherare  gli autori dei depistaggi e della corruttela mafiosa.

Per noi Pastenesi questo gesto ci collega idealmente ad un'altra vittima del sistema mafioso, il capitano della guardia di Finanza Fedele Conti, anche lui lasciato solo a difendere uno Stato che aveva al contrario molti suoi rappresentanti collusi o chiaramente in affare con esponenti della criminalità organizzata.
A Fondi le ultime vicende ci fanno capire dell’enorme ragnatela  di interessi che tenevano uniti pezzi delle istituzioni con esponenti dell’imprenditoria mafiosa,  e che il capitano  Fedele Conti è morto perché ha voluto essere servitore dello stesso Stato per il quale è stato fatto saltare in aria il giudice Paolo Borsellino con gli uomini della sua scorta.
Non dobbiamo  rassegnarci ma con ostinazione ed umiltà dobbiamo continuare a difendere i diritti dei cittadini anziché i privilegi di pochi e impedire che il malaffare e la corruzione trasformino la politica in un luogo di scambio tra potere e affari privati.

Dott. Gnesi Arturo

- Uno Notizie Frosinone -

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