BRINDISI (UnoNotizie.it)

I movimenti impegnati nella difesa della salute e soprattutto animatori delle contestazioni popolari all'indomani del draconiano riordino ospedaliero del 2002, non possono certo tacere di fronte agli scandali che, pur per il momento solo da procedimenti penali in fase di indagini preliminari e non da sentenze di condanna, stanno emergendo in questi giorn proprio nel mondo della sanità in Puglia.

Di seguito e all'indirizzo http://salutepubblica.org/uploadtest/Servizio%20Socio-Sanitario/090801%20Scandalo%20sanita.pdf il comunicato stampa congiunto di Medicina Democratica e SalutePubblica:

La politica asservita ad un sistema criminale.
Le notizie sul malaffare in sanità diffuse dalla stampa in questo primo semestre del 2009 descrivono un servizio sanitario trasformato in un terreno di scontro tra bande politico-affaristiche  tendenti ad accaparrarsi fette cospicue di denaro pubblico attraverso appalti truccati, forniture non necessarie, assunzioni pilotate e assegnazioni di incarichi dirigenziali finalizzati ad assicurare l’agevolazione di aziende amiche.

Il tutto con la complicità di medici e politici talora coinvolti come soci nelle stesse aziende o comunque beneficiari di prebende.
Né questo degradato scenario politico - amministrativo si fa mancare uno sfondo di contiguità e di cointeressenze addirittura con ambienti compiutamente mafiosi.
Quanto chiaramente evidenziato dalle intercettazioni pubblicate in questi mesi avviene in una delle regioni dove il servizio sanitario è tra i più arretrati del paese, come si evince  dal rapporto Ceis 2008  (di cui una nostra sintesi è disponibile all’indirizzo http://www.salutepubblica.org in categoria “Ricerca”), e dove, per molto meno di quanto apprendiamo oggi, sette anni fa, a seguito della programmata e parziale chiusura di alcuni ospedali (alcuni dei quali inefficienti e pericolosi) si generarono sollevazioni popolari in numerosi comuni della regione per l’assenza di alternative sanitarie.

Quella chiusura, si disse all’epoca, era resa necessaria dalla scarsità di risorse e dalla necessità di assicurare livelli assistenziali di migliore qualità in pochi centri di eccellenza.
Erano motivazioni fondate, ma la loro pessima applicazione (o almeno il tentativo che fu fatto in tal senso dalla Giunta Fitto), lasciavano intravedere la loro natura meramente “ufficiale”, ossia di copertura di ben altre, più stringenti e meno nobili, ragioni; come ci confermano i fatti di questi giorni, dai quali si comprende che quei risparmi si realizzavano mentre sprechi e ruberie avvenivano nella ordinaria amministrazione.

Ma, da questi fatti apprendiamo, anche e soprattutto, che questo sistema mafioso (criminale?) si è conservato anche dopo quello che avrebbe dovuto essere, nelle premesse e, soprattutto, nelle promesse, il più radicale cambiamento politico della storia del mezzogiorno, quando cioè nel 2005 il governo regionale pugliese – per decenni affidato dall’elettorato alle forze politiche moderate - è passato nelle mani di una coalizione di centro sinistra guidata da un leader della cosiddetta “sinistra antagonista”.
Il segnale di continuità fu però subito inviato alle consorterie organizzate: la nomina ad assessore della sanità di un politico della prima repubblica con interessenze familiari nel commercio delle protesi, proprio quelle al centro di parte delle attuali illuminanti rivelazioni.

Il trasformismo meridionale trovava subito modo di esprimersi e i posti di controllo degli affari venivano comunque assicurati da personale fidato transitato dalla vecchia alla nuova gestione.
Elementi di rottura inizialmente introdotti come maquillage sono stati via via espulsi, marginalizzati o omologati.

 
Responsabilità politiche, oltreché personali

 Questi sono i fatti, per l’appunto, prima e contro la pomposa lirica “del cambiamento”, la pia giaculatoria “della primavera pugliese”.
Siamo perfettamente consapevoli, lo ribadiamo, che essi dovranno passare per un rigoroso vaglio processuale; ma questo è necessario ad accertare le responsabilità penali, ossia individuali, non quelle politiche, che paiono già “allo stato degli atti” difficilmente discutibili.

L’elemento più scoraggiante di tutta questa trista vicenda, però, è che questo diffuso sistema mafioso (criminale?) di corruzione e intrallazzo non ha suscitato sinora la benché minima protesta sociale mentre a livello governativo regionale sono state realizzate spettacolari sostituzioni di alcuni dei personaggi indagati; né a questo livello sono state assunte, né riteniamo che lo saranno - disposizioni di legge che, limitando la discrezionalità della burocrazia corrotta, stronchino il malaffare.

Se si fosse voluto contrastare la corruzione nelle forniture, sarebbe stato sufficiente centralizzare gli acquisti e vincolare i consumi a quanto disponibile come avviene nelle strutture private. Ma proprio il non averlo fatto ed il continuare a non deciderlo ci conferma che nessun cambiamento politico reale è avvenuto nella nostra regione.

In una situazione di tale emergenza l’unico atto di rottura – per quanto pur sempre con i limiti del verticismo e della provvidenzialità – sarebbe stato quello di istituire immediatamente una ASL regionale con articolazioni ospedaliere e territoriali (i distretti esistenti) e di sottoporre a rotazione tutta la burocrazia in sospetto di corruzione, dato che la stessa risulterebbe, comunque, difficilmente dimissionabile a causa dei vincoli contrattuali.
Non è un caso che nessun attacco, né da destra né da sinistra, si sia levato contro la burocrazia corrotta, il vero elemento di continuità nell’alternanza politica di facciata.

La ricerca frenetica di capri espiatori in questa storia tende a spiegare la corruzione venuta alla luce con la responsabilità personale di alcuni (che in realtà forse sarà stabilita dai giudici), mentre si è chiaramente di fronte ad una responsabilità politica per il mancato contrasto di meccanismi che la facilitano e la impongono.
 

Inalterati i rapporti di potere

Il cambiamento politico reale che esprimesse un’inversione dei rapporti di potere tra espropriati ed espropriatori, cioè tra cittadini finanziatori del sistema ma derubati e marginalizzati in ruolo di supina accettazione della inefficienza dei servizi da una parte, e operatori chiamati a servire ma organizzati per i propri interessi di casta e burocrazia prona a scelte clientelari del governante di turno dall’altra, non lo abbiamo visto.

La corruzione della burocrazia è una realtà nella nostra regione come ha documentato in questi mesi la Corte dei Conti, che attribuisce al fenomeno nella pubblica amministrazione una perdita di circa dieci miliardi di euro di denaro pubblico. Cifra che porta la regione Puglia al secondo posto di questa speciale classifica che vede primeggiare, per volume di risorse sprecate, la Campania.
La lezione più importante che si deve ricavare dal cambiamento di colore politico e di ispirazione culturale ed etica (anche se di quest’ultima componente si è visto ben poco, com’è evidente) del governo regionale avvenuto in Puglia è proprio l’impossibilità di una rivoluzione che non giunga dal basso, cioè dall’esito di un processo di acquisizione di consapevolezza e di successivo avvio di conflitto sociale proprio da parte degli espropriati.

 

Riprendere il conflitto sociale senza nascondersi le difficoltà

Il conflitto sociale alimentato dal 2002 al 2005 dalle forze politiche allora all’opposizione e dalle corporazioni sanitarie, interne ed esterne al sistema sanitario, danneggiate nei propri interessi dai tagli attuati dal riordino ospedaliero, è oggi sostanzialmente narcotizzato dalle stesse forze.
La Puglia è ancora oggi percorsa da movimenti in conflitto con le autorità locali.

Si tratta di conflitti scatenati dale politiche dei rifiuti tutte orientate all’ampliamento delle discariche senza che nulla si sia fatto per il riutilizzo dei materiali se non in chiave energetica (bruciare CDR o costruire inceneritori) a vantaggio di alcuni gruppi industriali (locali, nazionali e multinazionali);
dalle politiche energetiche che favoriscono i gruppi dell’eolico, ambito indicato come fortemente a rischio di infiltrazioni mafiose;

dalle contraddizioni delle politiche sulle emissioni industriali dove si sbandiera la legge per il contenimento delle diossine a Taranto ma, per non entrare in contrasto con interessi economici consolidati, si fa finta di ignorare la crescita dei cancerogeni ed altri tossici in altri siti industriali e la diffusione delle centrali a biomasse.

Non si può certo tacere il ruolo narcotizzante che ha sul conflitto sociale anche la progressiva deriva economica e sociale del mezzogiorno e della Puglia.

Un PIL ormai al di sotto delle ultime posizioni dei paesi comunitari (pur con tutte le riserve che continuiamo a nutrire su un tale indicatore economico – sociale) ed un’emigrazione intellettuale inarrestabile rendono più difficile una opposizione sociale per la debolezza della interlocuzione con i residui settori più sani della conoscenza e della stessa burocrazia.

Un’analisi scientifica del sistema sanitario è stata accuratamente evitata (vedasi il ruolo di cenerentola in cui nonostante i proclami sono stati relegate competenze come l’epidemiologia, l’ingegneria clinica e gestionale) proprio perché avrebbe messo in luce l’intrinseca inefficienza della gestione e della burocrazia.

In questo difficile contesto politico – delinquenziale e di deprivazione intellettuale ed economica si deve collocare ogni tentativo di cambiamento.

Una sfida dura per i residui settori di società che continuano a non tollerare l’appropriazione criminale dei beni comuni.

Una sfida, però, che questo pezzo di società “resistente” non può non accettare: ne va della salute pubblica di questa regione, di quella fisica e di quella “morale”.

- Uno Notizie  Puglia, Brindisi -

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